Di questo testo, una recensione particolarmente interessante e polemica del libro di Kajsa Ekis Ekman: Varat och varan, scritta da un giovane marxista scozzese, non condivido qualche parola. Ritengo inoltre che la pratica della riduzione del danno in materia di prostituzione sia utile, benché insufficiente, in quanto fondata su un concetto di salute assai riduttivo, ben diverso dalla nozione globale di benessere psico-fisico. A rendere notevole e apprezzabile questa recensione è la difesa molto convincente del concetto di vittima e, soprattutto, la strepitosa distinzione proposta tra rivoluzionario/a e trasgressore delle norme. In contrasto con un topos molto diffuso, inoltre, Kajsa Ekis Ekman dimostra nel suo libro come la legge svedese sulla prostituzione sia il frutto dell'attento ascolto delle donne che la praticano.
Ho appena finito di leggere un libro della socialista
svedese, anarchica e femminista Kajsa Ekis Ekman [n.d.t. Varat och varan, tradotto in inglese con il titolo di Being and
being bought : prostitution, surrogacy and the split self e in francese con quello di L’être et la marchandise. Prostitution, Varat och varan maternité de
substitution et dissociation de soi], essenzialmente
dedicato alla confutazione degli argomenti utilizzati per giustificare la
prostituzione e l'industria della maternità surrogata. Il suo libro è stato
scritto in risposta alle rappresentazioni mediatiche menzognere della
prostituzione come una sorta di carriera intelligente e glamour per le giovani donne e in risposta al numero crescente di docenti
universitari post-moderni e di "teorici e teoriche queer" che hanno
contestato la legislazione svedese sulla prostituzione, cercando, tra l'altro, in
modo ridicolo, di presentare la prostituzione come una forma di
"trasgressione", che "sfida le norme di genere".
L'abolizione della vittima
Ekis
Ekman descrive ampiamente le tattiche che i sostenitori della prostituzione
hanno adottato nel corso degli ultimi anni ed evidenzia quanto i loro argomenti
siano realmente falsi, assurdi e dannosi. Penso che sia particolarmente
interessante ciò che lei scrive a proposito dei tentativi di abolire il termine
"vittima" dal dibattito sulla prostituzione. La condizione di vittima
viene considerata vergognosa e
riconoscere a qualcuno lo status di vittima equivarrebbe a negargli la capacità
di agire (agency). Ekman espone i motivi
dell'invenzione di questa menzogna e le più ampie conseguenze politiche che ne
derivano. Questo punto è riassunto in una recensione del libro pubblicata da Dagens Nyheter [ n.d.t.quotidiano
svedese]:
"Per poter difendere
la vendita dei propri corpi da parte delle donne (e il loro acquisto da parte
degli uomini), bisogna innanzitutto abolire il concetto di vittima e ridefinire
la prostituta come una sex worker, una donna forte che sa quello che vuole, una
donna d'affari. La sex worker diventa una sorta di nuova versione della
"prostituta felice". Ekis Ekman mostra in
modo convincente come ciò avvenga per mezzo di una retorica che rappresenta la
posizione della vittima come un tratto di carattere, anziché utilizzare la
definizione corretta del termine: quella di una persona che ha subito un danno.
In tal modo viene nascosta la terribile realtà in cui si trovano le donne nella
prostituzione. La paura della vittima nel dibattito sulla prostituzione è un
sentimento che riflette l'odio generalizzato nei confronti delle vittime nella
prospettiva neoliberista - dal momento che ogni riferimento alla persona
vulnerabile rivela immediatamente l'esistenza di una società ingiusta. Facendo
della vittima un tabu, si possono legittimare le disuguaglianze di classe e la
discriminazione di genere, perché senza
vittima, non c'è colpevole".
Coloro che difendono la prostituzione, come sottolinea Ekis
Ekman in un'intervista pubblicata dal giornale socialista Flamman, "provano
disprezzo per la debolezza, hanno una visione fredda e cinica dell'umanità, che
ha come conseguenza il fatto che ciascuno debba attribuire soltanto a se stesso
la colpa della propria condizione".
Per averne la prova,
dobbiamo addentrarci nelle opere di docenti universitari come Laura
Agustin, che è arrivata al punto di negare l'esistenza della tratta degli
esseri umani. Le vittime degli sfruttatori della prostituzione e dei
trafficanti di esseri umani sono da lei definite "sex workers
migranti" che scelgono attivamente la propria condizione. Parlando di
donne condotte nei Paesi occidentali da gang criminali, rinchiuse, senza
possibilità di uscire, in appartamenti e
prostituite per mesi, Agustin scrive:
"Queste circostanze in cui le donne vivono in locali dove si
pratica sesso ed escono raramente, prima di essere condotte altrove, senza che
sia da loro richiesto, attirano l'attenzione dei media, e si dà per acquisito
che ciò comporti una completa negazione della libertà. Ma in numerosi casi, le
lavoratrici migranti preferiscono questa soluzione per diverse ragioni. Non
lasciando il posto, non sperperano denaro e, se non hanno un permesso di
soggiorno, si sentono più sicure in un ambiente controllato. Se qualcun altro
individua i luoghi di incontro e prende gli appuntamenti in loro vece, ciò
significa che non devono accollarsi questo compito. Se sono arrivate con un
visto turistico di tre mesi, vogliono dedicare il maggior tempo possibile a
guadagnar soldi".
Un altro esempio rivoltante citato nel
libro di Ekman è il seguente: in Australia, un Paese dove da tempo è in vigore la legalizzazione della prostituzione, si è giunti a qualificare come "
sex workers" bambini vittime di abusi sessuali. Un rapporto ufficiale parla di una bambina di 9 anni vittima di abusi come di una persona che si era
vista offrire "un letto caldo e un buon pasto" dagli aggressori e ritiene "fantastico" il fatto che
gli uomini che l'hanno stuprata le abbiano dato 50 dollari. I dettagli del
crimine sono quasi totalmente assenti
dal rapporto, fatta eccezione per la frase: "Ha avuto un rapporto
sessuale".
Ciò che questi esempi hanno in comune è
il fatto di distogliere l'attenzione dall'aggressore. Danno l'impressione che
le persone aggredite, le prostitute, le bambine e i bambini, le vittime di
abusi, della droga, della povertà e dello sfruttamento economico abbiano tutte
scelto la condizione in cui si trovano. Modificando la definizione di vittima
in modo da trasformarla in un tratto caratteriale, facendo della
"vittima" il contrario del "soggetto", i post-moderni
sopprimono qualsiasi analisi delle strutture più profonde e delle differenze di
potere che condizionano la vita delle persone e ciò, naturalmente, è
perfettamente consonante con gli interessi dei ricchi e dei potenti, poiché
occulta la natura oppressiva e ingiusta della società nella quale viviamo.
Concezione
delle diseguaglianze come forme di trasgressione, anziché lotta per la loro
abolizione
In un'altra sezione del libro, l'autrice
parla di quello che descrive come "il culto della puttana", nel
quartiere di Raval a Barcellona, dove ci sono persone che indossano T-shirts
con impresso lo slogan "Yo també soc puta" ("Anch'io sono una
puttana"). L'ammirazione culturale della prostituta è, secondo Ekman, da
un altro punto di vista, una forma di disprezzo. "Non è un riconoscimento
dell'umanità delle donne, ma piuttosto un'infatuazione per tutto ciò che è
sgradevole e sordido, che viene associato alla prostituta". Le persone che
indossano questa T-shirt a Barcellona pensano di essere radicali e di
trasgredire le regole. "Ma quello che non capiscono è che la puttana, non
è una puttana, ma una persona". Come scrive Ekman:
"Dei "negri bianchi" assimilano i codici
dell'hip-hop, i viaggiatori assorbono le culture del Terzo Mondo, i travestiti
e le drag queens assimilano i caratteri della donna e la donna imita la
prostituta. La "trasgressione" delle differenze implica il
mantenimento delle differenze. Quando il bianco gioca a fare l'uomo di colore o
quando docenti universitarie si proclamano puttane o tossicodipendenti, prendono
in giro le persone di colore, le prostitute e i tossicodipendenti".
Queste persone, sottolinea, agiscono
[infatti] a partire da una posizione di
potere e non hanno la minima idea di quale sia la vita reale delle persone che
imitano e ricoprono di falsa ammirazione. Non ci potrebbe essere differenza più
netta tra, da un lato, la "trasgressione" delle norme e delle
divisioni tra le persone da parte di un
pensatore e di una pensatrice post-moderna
e, dall'altro, il desiderio del rivoluzionario e della rivoluzionaria di
abolirle. Ekman conclude:
"In senso proprio, non esistono puttane. Ci sono persone che
stanno nella prostituzione per un periodo di tempo più o meno lungo. Non ci
sono "tipi" di persone, né personalità specifiche. Ci sono persone
intrappolate in una determinata condizione. La "trasgressione"
feticizzata delle disuguaglianze è diversa dalla loro abolizione
rivoluzionaria. L'abolizione delle divisioni nasce dal vedere l'essere umano,
l'umanità di ciascuno, le uguali esigenze di tutti.....Si tratta di una
solidarietà oggettiva basata su una comprensione soggettiva. Si tratta di
mettersi al posto dell'altro, immaginandosi in situazioni differenti. E'
guardare negli occhi dell'altro e vedervisi riflessi. E a questa intuizione si
collega anche quella sulla crudeltà del sistema che ha fatto della prostituta
uno "stereotipo".
I finti
sindacati delle sex workers
Mi è piaciuta anche la sezione del
libro nella quale Ekis Ekman evidenzia
il carattere fittizio dei cosiddetti sindacati delle sex workers. L' International
Union of Sex Workers (IUSW), ad esempio, che è affiliato alla GMB (Britain's
General Union) ed ha preso la parola al congresso del Partito Laburista e del
Partito dei Verdi, è diretto da un uomo di nome Douglas Fox. Fox afferma di
essere un sex worker e accusa le femministe radicali di volerlo censurare. Ma,
all'analisi dei fatti, è chiaro che il signor Fox è un bugiardo. Non è un sex
worker, ma un magnaccia che dirige una delle più grandi agenzie di escort del
Regno Unito. Allo IUSW, come vedete, può appartenere chiunque: magnaccia, clienti della prostituzione,
docenti universitari simpatizzanti. Fra il numero molto ridotto dei suoi
iscritti: 150 persone ( a fronte delle 100.000 donne e uomini che lavorano
nell'industria inglese del sesso), solo un'infima minoranza è composta da
prostitute. E' la stessa cosa in tutta Europa, dove esistono organizzazioni
simili (come De Rode Draad nei Paesi Bassi) (n.d.t. Quest'ultima
organizzazione è stata fondata dallo
Stato olandese ed è fallita alla fine del 2012. In Germania, invece, sono state
le confederazioni sindacali ad aprire una sezione dedicata alle sex workers,
che non ha riscosso però alcun successo. )
I loro affiliati sono pochi, in maggioranza non esercitano la prostituzione e
non sono mai riusciti ad imporre rivendicazioni sindacali indipendenti. Ma i
sostenitori della prostituzione non si preoccupano molto dei fatti. Vediamo
questa idea dei "sindacati delle sex workers" agitata da sinistra
come da destra, perché è conveniente e offre alla prostituzione una certa
legittimità fittizia. La cosa non funziona e non funzionerà mai, ma riesce a
stornare l'attenzione dalle questioni più profonde concernenti la prostituzione
e dall'analisi dei motivi della sua esistenza nella nostra società.
Ciò è correlato alla crescita della
lobby della cosiddetta "riduzione dei danni", che ha guadagnato
influenza negli ultimi anni in seno a un certo numero di governi e di
istituzioni internazionali. Ekman mostra come questa influenza sia particolarmente
cresciuta nel periodo in cui è esplosa l'epidemia dell'AIDS, allorché questa
lobby è stata invitata da un certo numero di organizzazioni a determinare la
politica relativa alla prostituzione. L'Organizzazione Internazionale del
Lavoro e l'Organizzazione Mondiale della Sanità, ad esempio, si sono entrambe
pronunciate a favore della legalizzazione della prostituzione in quanto
quest'ultima incrementerebbe le entrate degli Stati e faciliterebbe la lotta
contro la diffusione dell'AIDS. Ekman scrive che queste due organizzazioni
hanno iniziato ad usare frasi come "la prostituta non è una vittima, ma un
soggetto" e hanno definito la prostituzione come "un lavoro femminile
che dovrebbe essere riconosciuto".
L'effetto della crescita di questa
lobby è stato quello di legittimare ancora di più la prostituzione, rendendo
difficile combatterla. Quando Ekman ha visitato ad Amsterdam gli uffici
dell'organizzazione TAMPEP, un gruppo sulla prevenzione dell'Hiv presso le
"sex workers migranti", ed ha chiesto se l'organizzazione non poteva
far nulla per aiutare le donne ad uscire dalla prostituzione, le è stato
risposto: "Perché dovremmo farlo? Il nostro obiettivo è di insegnare alle
donne ad essere prostitute migliori" (ad esempio usando i preservativi per
proteggere dalle infezioni gli uomini che abusano di loro). Questo obiettivo
(d'insegnare alle donne ad essere prostitute migliori) è sostenuto dalla
Commissione europea con l'esborso ogni anno di milioni di euro. In modo simile,
un opuscolo ufficiale realizzato con il sostegno del governo australiano
consiglia alle donne prostituite di "dare costantemente l'impressione di
godere nel rapporto sessuale con il cliente" e spiega alle donne come
rifiutare le richieste di un uomo violento "senza fargli perdere il
desiderio". Inoltre, il dépliant sottolinea che potrebbe essere una buona
idea cercare di evitare le ecchimosi perché " queste potrebbero
costringervi ad assentarvi dal lavoro e a perdere, di conseguenza, più
soldi".
La realtà della
prostituzione
Come spiega chiaramente Ekman,
l'obiettivo centrale dell'approccio che si definisce di "riduzione del
danno" è quello di proteggere e di sostenere il sistema della
prostituzione. I suoi sostenitori evitano di porsi domande profonde sulla
natura della prostituzione, sulle sue cause e sui suoi effetti. Sprecare
milioni per "insegnare alle donne ad essere prostitute migliori" è
uno scherzo crudele in un mondo in cui decine di milioni di donne e di ragazze
sono ridotte in schiavitù e sistematicamente stuprate per servire i desideri sessuali degli uomini.
Perché - si chiede Ekman - la
prostituzione continua ad essere consentita in numerosi Paesi nonostante i suoi
enormi danni?
Le statistiche sono più difficili da
reperire e da interpretare sia nei Paesi dove la prostituzione è legale che in
quelli dove è illegale:
·
il 71% delle donne che si
prostituiscono ha subito violenze fisiche;
·
il 63% di esse è stata stuprata
mentre si prostituiva;
·
l'89% vorrebbe abbandonare
l'attività e lo farebbe se lo potesse;
·
il 68% di loro presenta sintomi
della sindrome da stress post-traumatico.
·
Le donne che si prostituiscono
hanno un tasso di mortalità 40 volte superiore alla media.
·
Le donne che si prostituiscono
rischiano 16 volte di più delle altre di essere assassinate.
Uno dei fattori che, secondo Ekman, caratterizza
fortemente la prostituzione è la scissione tra il corpo e la mente. Si tratta spesso di una strategia
di sopravvivenza per le persone coinvolte nel settore. Quasi tutti i racconti
relativi alla prostituzione mostrano chiaramente l'esistenza di questa
scissione: molte delle persone che si prostituiscono si creano due personalità
completamente differenti; molte di loro perdono sensibilità in alcune parti del
corpo; si dissociano dal proprio corpo.
I sostenitori della prostituzione
vogliono farci credere che il corpo sia qualcosa di separato e che venderlo non
abbia conseguenze profonde sulle persone coinvolte. Essi promuovono l'idea del
corpo come una proprietà sulla quale le
persone esercitano un controllo razionale, come un prodotto da cui, con
intelligenza, è possibile ricavare denaro. La capacità di desensibilizzare
parti di sé, di scindere il corpo dalla mente e di mantenere le distanze da ciò
che ci sta accadendo è stata celebrata dagli amici della prostituzione come una
condizione ideale, come un segno di forza. La conseguenza è che le persone che
non sono abbastanza forti, la maggioranza delle prostitute, ad esempio, che è affetta dalla sindrome dello stress
post-traumatico, riceve scarsa simpatia perché è ritenuta colpevole di essere debole
e di aver scelto il lavoro sbagliato.
La difesa dello
status-quo nell'era post-moderna
Particolarmente importante per la
sinistra e per le persone che desiderano cambiare la società è probabilmente ciò che
dice Ekman sul modo in cui il nostro linguaggio ci è stato rubato ed è stato
usato in un modo da rafforzare lo status quo. Ekman scrive
che dopo il 1968, i potenti hanno dovuto riformulare la propria identità e gli
argomenti di cui si servono per giustificare la propria esistenza:
"Le istituzioni che detengono il potere - le istituzioni
finanziarie, i media, il mondo accademico, le classi politiche, il potere
sessuale degli uomini e i privilegi della classe dirigente - hanno dovuto
riformulare la propria identità per giustificare la propria esistenza. Non
possono più affermare di detenere il potere per diritto naturale; tutti i
rapporti di potere devono ora trovare una giustificazione morale. Questo si fa
occultandone l'esistenza....La nobiltà, le multinazionali, i media, gli
intellettuali, tutti sostengono improvvisamente di essere trasgressivi, marginali
o devianti.
La figura della "sex
worker" si inserisce in questa dinamica. Essa unisce un'antica pratica,
che preserva il tradizionale ruolo di genere, a un nuovo linguaggio ribelle. Crea
una simbiosi tra la destra neo-liberista e la sinistra post-moderna. La destra
neo-liberista vi trova un discorso che dichiara la prostituzione una forma di
libera impresa e si richiama alla libertà individuale. La sinistra post-moderna
vi trova una scusa per non combattere la struttura dominante del potere facendo
appello alla voce dei marginali.
La sinistra post-moderna è, come scrive
Terry Eagleton, una reazione all'egemonia neoliberista. Dopo il crollo del
comunismo, i partiti della sinistra hanno reagito mascherando la propria
sconfitta per presentarla come una vittoria [..] Invece di continuare a
denunciare le ingiustizie, alcune componenti della sinistra hanno cambiato
completamente idea, passando alla definizione dello status quo come sovversivo.
Quando si
trova difficile rimettere in discussione le ingiustizie, si è tentati piuttosto
di ridefinirle - se le guardiamo più da vicino, forse queste ingiustizie non
sono tali, ma sono gesti di ribellione? Tutto ad un tratto la pornografia, la
prostituzione, il velo, la colf, l'uso della droga cominciano ad essere
interpretati come fenomeni marginali, come un diritto della donna o come una
scelta individuale che ha un potenziale sovversivo".
Penso che Ekman abbia assolutamente ragione qui e che la peggior
cosa che possa capitare alla sinistra sia di rinunciare al proprio desiderio di
cambiare radicalmente la società, di analizzare e svelare le strutture e le
norme attuali del potere e di lottare per la loro abolizione. Tutto attorno a
noi possiamo vedere movimenti radicali abbandonare la lotta e cercare un
compromesso con lo status quo. Il criterio della scelta personale promosso da
certe femministe non è che un esempio di questa situazione.
Dibattito
sulla prostituzione in Svezia
Infine, un altro elemento che ho
trovato interessante in questo libro è stata l'analisi dell'evoluzione del
dibattito sulla prostituzione in Svezia nel corso degli ultimi decenni. I suoi
avversari, come Petra Östergren e Laura Agustin, hanno a lungo accusato la
legislazione svedese contro l'acquisto di sesso di aver completamente ignorato
le opinioni e gli interessi delle persone che praticano la prostituzione. Ekman
mostra, al contrario, che la prostitutionsutredningen, l'indagine del governo
sulla prostituzione effettuata nel 1977 che ha orientato il dibattito in Svezia
nei decenni successivi, si è rivelata rivoluzionaria per l'accento posto sulle
opinioni e sulle esperienze delle donne che si prostituivano e sulle questioni
relative agli uomini che le usavano.
Il politico di centro-destra Inger
Nilsson, incaricato di svolgere l'indagine, aveva inizialmente tentato di
eliminare i racconti delle donne, dopo aver incontrato diversi proprietari dei
club dove ci si prostituiva. Aveva scelto di pubblicare una versione ampiamente
emendata del rapporto, escludendo tutte le testimonianze personali delle donne.
La divulgazione di questo tentativo suscitò una tempesta di indignazione fra le femministe e il governo fu costretto a
diffondere il rapporto completo dell'indagine, pubblicato nella forma di un
libro di 800 pagine. Per Ekman:
"Questo libro ebbe l'effetto di una bomba. Fu un punto di
svolta che cambiò completamente il punto di vista della società sulla
prostituzione. Modificò l'orientamento delle ricerche sulla prostituzione in
tutta la Scandinavia. La prostituzione, come lo stupro, era diventata una
questione politica. [..] Per la ricerca sulla prostituzione, significava
ricominciare tutto da capo. E' stata così ripudiata buona parte delle ricerche
effettuate nel diciannovesimo secolo, quando le cause della prostituzione
venivano ricercate nella personalità della donna e nella malattia. Si sono
cominciati a creare nuovi saperi, cercando le spiegazioni della prostituzione
nelle relazioni tra i sessi e nella società. E la ricerca, dove andava a
cercare le basi di queste nuove conoscenze? Nei racconti delle persone
prostituite".
Conclusione
Anche se non posso evidentemente
riassumere qui l'intero contenuto del libro di Ekman, ho trovato Varat och
varan molto interessante e istruttivo e credo che fornisca strumenti molto
utili per la lotta contro la svolta post-moderna, che sembra caratterizzare
gran parte dell'università contemporanea, così come certi settori della
sinistra. Rifiutiamo l'odio nei confronti delle vittime propria del pensiero
postmoderno. Essere una vittima non è una vergogna o un insulto e tanto meno è
un tratto della personalità. Perché in un mondo ingiusto, ci saranno sempre
delle vittime, ci saranno sempre delle persone che hanno meno potere e
ricchezza delle altre, che hanno minor controllo sulla propria vita. Trovarsi
nella condizione di vittima non significa non
disporre mai dei mezzi per mitigare questa condizione; non significa non
avere la capacità di pensare e di agire razionalmente. Significa invece che noi
viviamo in un mondo che ha fortemente bisogno di essere cambiato. Abolendo la
parola "vittima" e definendo il complesso delle nostre azioni come
scelte individuali, i pensatori postmoderni non stanno approntando altro che una difesa reazionaria
dello status quo.
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