sabato 7 giugno 2014

Prostituzione, l'abolizione della vittima e la difesa postmoderna dello status quo.





Di  questo testo, una recensione particolarmente interessante e polemica del libro di  Kajsa Ekis Ekman:  Varat och varan, scritta da un giovane marxista scozzese, non condivido qualche parola. Ritengo inoltre che la pratica della riduzione del danno in materia di prostituzione sia utile,  benché insufficiente, in quanto  fondata su  un concetto di salute assai riduttivo, ben diverso dalla nozione globale di benessere psico-fisico. A rendere notevole e apprezzabile questa recensione è la difesa molto convincente del concetto di vittima e, soprattutto, la strepitosa distinzione proposta tra rivoluzionario/a e trasgressore delle norme. In contrasto con un topos molto diffuso,  inoltre, Kajsa Ekis Ekman dimostra nel suo libro come la legge svedese sulla prostituzione sia  il frutto dell'attento ascolto delle donne che la praticano.
 
 
Ho appena finito di leggere un libro della socialista svedese, anarchica e femminista Kajsa Ekis Ekman [n.d.t. Varat och varan, tradotto in inglese con il titolo di Being and being bought : prostitution, surrogacy and the split self e in francese con quello di L’être et la marchandise. Prostitution, Varat och varan maternité de substitution et dissociation de soi], essenzialmente dedicato alla confutazione degli argomenti utilizzati per giustificare la prostituzione e l'industria della maternità surrogata. Il suo libro è stato scritto in risposta alle rappresentazioni mediatiche menzognere della prostituzione come una sorta di carriera intelligente e glamour per le giovani donne e in risposta al numero crescente di docenti universitari post-moderni e di "teorici e teoriche queer" che hanno contestato la legislazione svedese sulla prostituzione, cercando, tra l'altro, in modo ridicolo, di presentare la prostituzione come una forma di "trasgressione", che "sfida le norme di genere".
 
L'abolizione della vittima
Ekis Ekman descrive ampiamente le tattiche che i sostenitori della prostituzione hanno adottato nel corso degli ultimi anni ed evidenzia quanto i loro argomenti siano realmente falsi, assurdi e dannosi. Penso che sia particolarmente interessante ciò che lei scrive a proposito dei tentativi di abolire il termine "vittima" dal dibattito sulla prostituzione. La condizione di vittima viene  considerata vergognosa e riconoscere a qualcuno lo status di vittima equivarrebbe a negargli la capacità di agire (agency). Ekman espone  i motivi dell'invenzione di questa menzogna e le più ampie conseguenze politiche che ne derivano. Questo punto è riassunto in una recensione del libro pubblicata da Dagens Nyheter [ n.d.t.quotidiano svedese]:
 
"Per poter difendere la vendita dei propri corpi da parte delle donne (e il loro acquisto da parte degli uomini), bisogna innanzitutto abolire il concetto di vittima e ridefinire la prostituta come una sex worker, una donna forte che sa quello che vuole, una donna d'affari. La sex worker diventa una sorta di nuova versione della "prostituta felice". Ekis Ekman mostra in modo convincente come ciò avvenga per mezzo di una retorica che rappresenta la posizione della vittima come un tratto di carattere, anziché utilizzare la definizione corretta del termine: quella di una persona che ha subito un danno. In tal modo viene nascosta la terribile realtà in cui si trovano le donne nella prostituzione. La paura della vittima nel dibattito sulla prostituzione è un sentimento che riflette l'odio generalizzato nei confronti delle vittime nella prospettiva neoliberista - dal momento che ogni riferimento alla persona vulnerabile rivela immediatamente l'esistenza di una società ingiusta. Facendo della vittima un tabu, si possono legittimare le disuguaglianze di classe e la discriminazione di genere, perché  senza vittima, non c'è colpevole".
 
Coloro che difendono la prostituzione, come sottolinea Ekis Ekman in un'intervista pubblicata dal giornale socialista Flamman, "provano disprezzo per la debolezza, hanno una visione fredda e cinica dell'umanità, che ha come conseguenza il fatto che ciascuno debba attribuire soltanto a se stesso la colpa della propria condizione".
Per averne la prova,  dobbiamo addentrarci nelle opere di docenti universitari come Laura Agustin, che è arrivata al punto di negare l'esistenza della tratta degli esseri umani. Le vittime degli sfruttatori della prostituzione e dei trafficanti di esseri umani sono da lei definite "sex workers migranti" che scelgono attivamente la propria condizione. Parlando di donne condotte nei Paesi occidentali da gang criminali, rinchiuse, senza possibilità di uscire,  in appartamenti e prostituite per mesi, Agustin scrive:
 
"Queste circostanze in cui le donne vivono in locali dove si pratica sesso ed escono raramente, prima di essere condotte altrove, senza che sia da loro richiesto, attirano l'attenzione dei media, e si dà per acquisito che ciò comporti una completa negazione della libertà. Ma in numerosi casi, le lavoratrici migranti preferiscono questa soluzione per diverse ragioni. Non lasciando il posto, non sperperano denaro e, se non hanno un permesso di soggiorno, si sentono più sicure in un ambiente controllato. Se qualcun altro individua i luoghi di incontro e prende gli appuntamenti in loro vece, ciò significa che non devono accollarsi questo compito. Se sono arrivate con un visto turistico di tre mesi, vogliono dedicare il maggior tempo possibile a guadagnar soldi".
 
Un altro esempio rivoltante citato nel libro di Ekman è il seguente: in Australia, un Paese dove da tempo è in vigore la legalizzazione della prostituzione, si è giunti a qualificare come " sex workers" bambini vittime di abusi sessuali. Un rapporto ufficiale parla di una bambina di 9 anni vittima di abusi come di una persona che si era vista offrire "un letto caldo e un buon pasto" dagli aggressori  e ritiene "fantastico" il fatto che gli uomini che l'hanno stuprata le abbiano dato 50 dollari. I dettagli del crimine  sono quasi totalmente assenti dal rapporto, fatta eccezione per la frase: "Ha avuto un rapporto sessuale".
Ciò che questi esempi hanno in comune è il fatto di distogliere l'attenzione dall'aggressore. Danno l'impressione che le persone aggredite, le prostitute, le bambine e i bambini, le vittime di abusi, della droga, della povertà e dello sfruttamento economico abbiano tutte scelto la condizione in cui si trovano. Modificando la definizione di vittima in modo da trasformarla in un tratto caratteriale, facendo della "vittima" il contrario del "soggetto", i post-moderni sopprimono qualsiasi analisi delle strutture più profonde e delle differenze di potere che condizionano la vita delle persone e ciò, naturalmente, è perfettamente consonante con gli interessi dei ricchi e dei potenti, poiché occulta la natura oppressiva e ingiusta della società nella quale viviamo.
 
Concezione delle diseguaglianze come forme di trasgressione, anziché lotta per la loro abolizione
In un'altra sezione del libro, l'autrice parla di quello che descrive come "il culto della puttana", nel quartiere di Raval a Barcellona, dove ci sono persone che indossano T-shirts con impresso lo slogan "Yo també soc puta" ("Anch'io sono una puttana"). L'ammirazione culturale della prostituta è, secondo Ekman, da un altro punto di vista, una forma di disprezzo. "Non è un riconoscimento dell'umanità delle donne, ma piuttosto un'infatuazione per tutto ciò che è sgradevole e sordido, che viene associato alla prostituta". Le persone che indossano questa T-shirt a Barcellona pensano di essere radicali e di trasgredire le regole. "Ma quello che non capiscono è che la puttana, non è una puttana, ma una persona". Come scrive Ekman:
 
"Dei "negri bianchi" assimilano i codici dell'hip-hop, i viaggiatori assorbono le culture del Terzo Mondo, i travestiti e le drag queens assimilano i caratteri della donna e la donna imita la prostituta. La "trasgressione" delle differenze implica il mantenimento delle differenze. Quando il bianco gioca a fare l'uomo di colore o quando docenti universitarie si proclamano puttane o tossicodipendenti, prendono in giro le persone di colore, le prostitute e i tossicodipendenti". 
 
Queste persone, sottolinea, agiscono [infatti]  a partire da una posizione di potere e non hanno la minima idea di quale sia la vita reale delle persone che imitano e ricoprono di falsa ammirazione. Non ci potrebbe essere differenza più netta tra, da un lato, la "trasgressione" delle norme e delle divisioni tra le persone da parte  di un pensatore e di una pensatrice post-moderna  e, dall'altro, il desiderio del rivoluzionario e della rivoluzionaria di abolirle. Ekman conclude:
 
"In senso proprio, non esistono puttane. Ci sono persone che stanno nella prostituzione per un periodo di tempo più o meno lungo. Non ci sono "tipi" di persone, né personalità specifiche. Ci sono persone intrappolate in una determinata condizione. La "trasgressione" feticizzata delle disuguaglianze è diversa dalla loro abolizione rivoluzionaria. L'abolizione delle divisioni nasce dal vedere l'essere umano, l'umanità di ciascuno, le uguali esigenze di tutti.....Si tratta di una solidarietà oggettiva basata su una comprensione soggettiva. Si tratta di mettersi al posto dell'altro, immaginandosi in situazioni differenti. E' guardare negli occhi dell'altro e vedervisi riflessi. E a questa intuizione si collega anche quella sulla crudeltà del sistema che ha fatto della prostituta uno "stereotipo".
 
I finti sindacati delle sex workers
Mi è piaciuta anche la sezione del libro  nella quale Ekis Ekman evidenzia il carattere fittizio dei cosiddetti sindacati delle sex workers. L' International Union of Sex Workers (IUSW), ad esempio, che è affiliato alla GMB (Britain's General Union) ed ha preso la parola al congresso del Partito Laburista e del Partito dei Verdi, è diretto da un uomo di nome Douglas Fox. Fox afferma di essere un sex worker e accusa le femministe radicali di volerlo censurare. Ma, all'analisi dei fatti, è chiaro che il signor Fox è un bugiardo. Non è un sex worker, ma un magnaccia che dirige una delle più grandi agenzie di escort del Regno Unito. Allo IUSW, come vedete, può appartenere chiunque:  magnaccia, clienti della prostituzione, docenti universitari simpatizzanti. Fra il numero molto ridotto dei suoi iscritti: 150 persone ( a fronte delle 100.000 donne e uomini che lavorano nell'industria inglese del sesso), solo un'infima minoranza è composta da prostitute. E' la stessa cosa in tutta Europa, dove esistono organizzazioni simili (come De Rode Draad nei Paesi Bassi) (n.d.t. Quest'ultima organizzazione è stata fondata  dallo Stato olandese ed è fallita alla fine del 2012. In Germania, invece, sono state le confederazioni sindacali ad aprire una sezione dedicata alle sex workers, che non ha riscosso però alcun successo. ) I loro affiliati sono pochi, in maggioranza non esercitano la prostituzione e non sono mai riusciti ad imporre rivendicazioni sindacali indipendenti. Ma i sostenitori della prostituzione non si preoccupano molto dei fatti. Vediamo questa idea dei "sindacati delle sex workers" agitata da sinistra come da destra, perché è conveniente e offre alla prostituzione una certa legittimità fittizia. La cosa non funziona e non funzionerà mai, ma riesce a stornare l'attenzione dalle questioni più profonde concernenti la prostituzione e dall'analisi dei motivi della sua esistenza nella nostra società.
Ciò è correlato alla crescita della lobby della cosiddetta "riduzione dei danni", che ha guadagnato influenza negli ultimi anni in seno a un certo numero di governi e di istituzioni internazionali. Ekman mostra come questa influenza sia particolarmente cresciuta nel periodo in cui è esplosa l'epidemia dell'AIDS, allorché questa lobby è stata invitata da un certo numero di organizzazioni a determinare la politica relativa alla prostituzione. L'Organizzazione Internazionale del Lavoro e l'Organizzazione Mondiale della Sanità, ad esempio, si sono entrambe pronunciate a favore della legalizzazione della prostituzione in quanto quest'ultima incrementerebbe le entrate degli Stati e faciliterebbe la lotta contro la diffusione dell'AIDS. Ekman scrive che queste due organizzazioni hanno iniziato ad usare frasi come "la prostituta non è una vittima, ma un soggetto" e hanno definito la prostituzione come "un lavoro femminile che dovrebbe essere riconosciuto".
L'effetto della crescita di questa lobby è stato quello di legittimare ancora di più la prostituzione, rendendo difficile combatterla. Quando Ekman ha visitato ad Amsterdam gli uffici dell'organizzazione TAMPEP, un gruppo sulla prevenzione dell'Hiv presso le "sex workers migranti", ed ha chiesto se l'organizzazione non poteva far nulla per aiutare le donne ad uscire dalla prostituzione, le è stato risposto: "Perché dovremmo farlo? Il nostro obiettivo è di insegnare alle donne ad essere prostitute migliori" (ad esempio usando i preservativi per proteggere dalle infezioni gli uomini che abusano di loro). Questo obiettivo (d'insegnare alle donne ad essere prostitute migliori) è sostenuto dalla Commissione europea con l'esborso ogni anno di milioni di euro. In modo simile, un opuscolo ufficiale realizzato con il sostegno del governo australiano consiglia alle donne prostituite di "dare costantemente l'impressione di godere nel rapporto sessuale con il cliente" e spiega alle donne come rifiutare le richieste di un uomo violento "senza fargli perdere il desiderio". Inoltre, il dépliant sottolinea che potrebbe essere una buona idea cercare di evitare le ecchimosi perché " queste potrebbero costringervi ad assentarvi dal lavoro e a perdere, di conseguenza, più soldi".
 
La realtà della prostituzione
Come spiega chiaramente Ekman, l'obiettivo centrale dell'approccio che si definisce di "riduzione del danno" è quello di proteggere e di sostenere il sistema della prostituzione. I suoi sostenitori evitano di porsi domande profonde sulla natura della prostituzione, sulle sue cause e sui suoi effetti. Sprecare milioni per "insegnare alle donne ad essere prostitute migliori" è uno scherzo crudele in un mondo in cui decine di milioni di donne e di ragazze sono ridotte in schiavitù e sistematicamente stuprate  per servire i desideri sessuali degli uomini.
Perché - si chiede Ekman - la prostituzione continua ad essere consentita in numerosi Paesi nonostante i suoi enormi danni?
Le statistiche sono più difficili da reperire e da interpretare sia nei Paesi dove la prostituzione è legale che in quelli dove è illegale:
·       il 71% delle donne che si prostituiscono ha subito violenze fisiche;
·       il 63% di esse è stata stuprata mentre si prostituiva;
·       l'89% vorrebbe abbandonare l'attività e lo farebbe se lo potesse;
·       il 68% di loro presenta sintomi della sindrome da stress post-traumatico.
·       Le donne che si prostituiscono hanno un tasso di mortalità 40 volte superiore alla media.
·       Le donne che si prostituiscono rischiano 16 volte di più delle altre di essere assassinate.
 
Uno dei fattori che, secondo Ekman, caratterizza fortemente la prostituzione è la scissione tra il corpo  e la mente. Si tratta spesso di una strategia di sopravvivenza per le persone coinvolte nel settore. Quasi tutti i racconti relativi alla prostituzione mostrano chiaramente l'esistenza di questa scissione: molte delle persone che si prostituiscono si creano due personalità completamente differenti; molte di loro perdono sensibilità in alcune parti del corpo; si dissociano dal proprio corpo.
I sostenitori della prostituzione vogliono farci credere che il corpo sia qualcosa di separato e che venderlo non abbia conseguenze profonde sulle persone coinvolte. Essi promuovono l'idea del corpo  come una proprietà sulla quale le persone esercitano un controllo razionale, come un prodotto da cui, con intelligenza, è possibile ricavare denaro. La capacità di desensibilizzare parti di sé, di scindere il corpo dalla mente e di mantenere le distanze da ciò che ci sta accadendo è stata celebrata dagli amici della prostituzione come una condizione ideale, come un segno di forza. La conseguenza è che le persone che non sono abbastanza forti, la maggioranza delle prostitute, ad esempio,  che è affetta dalla sindrome dello stress post-traumatico, riceve scarsa simpatia perché è ritenuta colpevole di essere debole e di aver scelto il lavoro sbagliato.
 
La difesa dello status-quo nell'era post-moderna
Particolarmente importante per la sinistra e per le persone che desiderano cambiare la società è probabilmente ciò che dice Ekman sul modo in cui il nostro linguaggio ci è stato rubato ed è stato usato in un modo da rafforzare lo status quo. Ekman scrive che dopo il 1968, i potenti hanno dovuto riformulare la propria identità e gli argomenti di cui si servono per giustificare la propria esistenza:
 
"Le istituzioni che detengono il potere - le istituzioni finanziarie, i media, il mondo accademico, le classi politiche, il potere sessuale degli uomini e i privilegi della classe dirigente - hanno dovuto riformulare la propria identità per giustificare la propria esistenza. Non possono più affermare di detenere il potere per diritto naturale; tutti i rapporti di potere devono ora trovare una giustificazione morale. Questo si fa occultandone l'esistenza....La nobiltà, le multinazionali, i media, gli intellettuali, tutti sostengono improvvisamente di essere trasgressivi, marginali o devianti.
La  figura della "sex worker" si inserisce in questa dinamica. Essa unisce un'antica pratica, che preserva il tradizionale ruolo di genere, a un nuovo linguaggio ribelle. Crea una simbiosi tra la destra neo-liberista e la sinistra post-moderna. La destra neo-liberista vi trova un discorso che dichiara la prostituzione una forma di libera impresa e si richiama alla libertà individuale. La sinistra post-moderna vi trova una scusa per non combattere la struttura  dominante del potere facendo appello alla voce dei marginali.
La sinistra post-moderna è, come scrive Terry Eagleton, una reazione all'egemonia neoliberista. Dopo il crollo del comunismo, i partiti della sinistra hanno reagito mascherando la propria sconfitta per presentarla come una vittoria [..] Invece di continuare a denunciare le ingiustizie, alcune componenti della sinistra hanno cambiato completamente idea, passando alla definizione dello status quo come sovversivo.
Quando si trova difficile rimettere in discussione le ingiustizie, si è tentati piuttosto di ridefinirle - se le guardiamo più da vicino, forse queste ingiustizie non sono tali, ma sono gesti di ribellione? Tutto ad un tratto la pornografia, la prostituzione, il velo, la colf, l'uso della droga cominciano ad essere interpretati come fenomeni marginali, come un diritto della donna o come una scelta individuale che ha un potenziale sovversivo".
 
Penso che Ekman abbia assolutamente ragione qui e che la peggior cosa che possa capitare alla sinistra sia di rinunciare al proprio desiderio di cambiare radicalmente la società, di analizzare e svelare le strutture e le norme attuali del potere e di lottare per la loro abolizione. Tutto attorno a noi possiamo vedere movimenti radicali abbandonare la lotta e cercare un compromesso con lo status quo. Il criterio della scelta personale promosso da certe femministe non è che un esempio di questa situazione.
 
Dibattito sulla prostituzione in Svezia
Infine, un altro elemento che ho trovato interessante in questo libro è stata l'analisi dell'evoluzione del dibattito sulla prostituzione in Svezia nel corso degli ultimi decenni. I suoi avversari, come Petra Östergren e Laura Agustin, hanno a lungo accusato la legislazione svedese contro l'acquisto di sesso di aver completamente ignorato le opinioni e gli interessi delle persone che praticano la prostituzione. Ekman mostra, al contrario, che la prostitutionsutredningen, l'indagine del governo sulla prostituzione effettuata nel 1977 che ha orientato il dibattito in Svezia nei decenni successivi, si è rivelata rivoluzionaria per l'accento posto sulle opinioni e sulle esperienze delle donne che si prostituivano e sulle questioni relative agli uomini che le usavano.
Il politico di centro-destra Inger Nilsson, incaricato di svolgere l'indagine, aveva inizialmente tentato di eliminare i racconti delle donne, dopo aver incontrato diversi proprietari dei club dove ci si prostituiva. Aveva scelto di pubblicare una versione ampiamente emendata del rapporto, escludendo tutte le testimonianze personali delle donne. La divulgazione di questo tentativo suscitò una tempesta di indignazione  fra le femministe e il governo fu costretto a diffondere il rapporto completo dell'indagine, pubblicato nella forma di un libro di 800 pagine. Per Ekman:
 
"Questo libro ebbe l'effetto di una bomba. Fu un punto di svolta che cambiò completamente il punto di vista della società sulla prostituzione. Modificò l'orientamento delle ricerche sulla prostituzione in tutta la Scandinavia. La prostituzione, come lo stupro, era diventata una questione politica. [..] Per la ricerca sulla prostituzione, significava ricominciare tutto da capo. E' stata così ripudiata buona parte delle ricerche effettuate nel diciannovesimo secolo, quando le cause della prostituzione venivano ricercate nella personalità della donna e nella malattia. Si sono cominciati a creare nuovi saperi, cercando le spiegazioni della prostituzione nelle relazioni tra i sessi e nella società. E la ricerca, dove andava a cercare le basi di queste nuove conoscenze? Nei racconti delle persone prostituite".
 
Conclusione
Anche se non posso evidentemente riassumere qui l'intero contenuto del libro di Ekman, ho trovato Varat och varan molto interessante e istruttivo e credo che fornisca strumenti molto utili per la lotta contro la svolta post-moderna, che sembra caratterizzare gran parte dell'università contemporanea, così come certi settori della sinistra. Rifiutiamo l'odio nei confronti delle vittime propria del pensiero postmoderno. Essere una vittima non è una vergogna o un insulto e tanto meno è un tratto della personalità. Perché in un mondo ingiusto, ci saranno sempre delle vittime, ci saranno sempre delle persone che hanno meno potere e ricchezza delle altre, che hanno minor controllo sulla propria vita. Trovarsi nella condizione di vittima non significa non  disporre mai dei mezzi per mitigare questa condizione; non significa non avere la capacità di pensare e di agire razionalmente. Significa invece che noi viviamo in un mondo che ha fortemente bisogno di essere cambiato. Abolendo la parola "vittima" e definendo il complesso delle nostre azioni come scelte individuali, i pensatori postmoderni non stanno  approntando altro che una difesa reazionaria dello status quo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 



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