venerdì 9 gennaio 2015

Il cliente è sovrano

 

Gérard Biard


Bisognerebbe essere sordi e ciechi per ignorare che la proposta di legge volta ad abolire la prostituzione, che è stata discussa venerdì scorso e deve essere sottoposta al voto mercoledì 4 dicembre, è "liberticida", "moralista" e "contro il sesso". Da mesi si assiste ad un susseguirsi di articoli, petizioni ed interventi di ogni genere che ci mettono in guardia contro questo pericolo che minaccia la Francia dei Lumi: la penalizzazione dei clienti.  Il tutto, ovviamente, invocando la lotta contro sfruttatori della prostituzione e reti di trafficanti, ma sviluppando argomentazioni che li ignorano bellamente. 
Menzione speciale a Le Monde, che punta decisamente sul rigore giornalistico e sull'illustrazione scioccante: "clienti puniti, prostitute assassinate" e a Libération, che ha interpellato nel numero del 26 novembre ben tre "esperti", tutti contrari alla legge. Un ricercatore del CNRS che, con ogni evidenza, in tutta la sua carriera ha letto un solo ed unico rapporto: quello sul "fallimento" del modello svedese  naturalmente. Uno psicanalista un po' confuso che evoca Victor Hugo, dimenticando le dichiarazioni sul tema dell'autore de I miserabili: "Si dice che la schiavitù sia scomparsa dalla civiltà europea. E' sbagliato. Essa esiste ancora, ma pesa soltanto sulla donna e si chiama prostituzione". E un comico: Luc Le Vaillant, che rifiuta l'ingerenza dello Stato nel campo della sessualità, ma pretende l'istituzione dei "bordelli di Stato". In breve: dei bravi ragazzi pragmatici e amanti della più assoluta libertà, ma non proprio coerenti.
Possiamo trovare sorprendente e inattesa l'indignazione di questa sinistra ipocrita che si oppone alle leggi del libero mercato salvo quando si tratta di applicarle al sesso e all'intimità e che denuncia la precarietà, ma la trova molto romantica quando porta alla prostituzione. Perché nel 2003, quando Nicolas Sarkozy, allora Ministro dell'Interno, reintrodusse il reato di "adescamento passivo", criminalizzando sempre di più le prostitute, non vi fu una simile levata di scudi. A parte l'immancabile marinaio-cantante Antoine, che ritorna dai mari del Sud solo per reclamare la presenza di ragazze sui marciapiedi del Nord, non furono molte  le "celebrità" che manifestarono il loro sdegno nei confronti di questa legge. E se qualche giornale -   tra cui  Libération al quale bisogna riconoscere una certa costanza - vi aveva consacrato uno o due articoli, il dibattito era durato lo spazio di un mattino. Eppure, in apparenza, si trattava della stessa questione.
Solo in apparenza. Perché, in fondo, tutti se ne fregano altamente dei diritti delle prostitute, della loro salute, della violenza fisica e sociale che subiscono. In ogni caso, quelli a cui sta a cuore sono assai meno di quelli che oggi levano la propria voce contro questo disegno di legge. E il solo motivo di questo accanimento improvviso, è l'inversione della colpa. Per la prima volta la legge colpisce il cliente, il povero cliente che non può più consumare.
Pochi sono coloro, compresi i sostenitori della regolamentazione, che non hanno giudicato odiosa la petizione dei "343 maiali". Non è odiosa: è sincera. Dice con franchezza ciò che molti dissimulano sotto una patina libertaria o intellettuale. I firmatari Ivan Rioufol ed Éric Zemmour si sono indignati, quando si è parlato della possibile apertura di "stanze del buco" [n.d.t. luoghi controllati dove i consumatori problematici di sostanze stupefacenti possono iniettarsele], ma vogliono l'apertura dei bordelli. Non bisogna consumare droga, non è una buona cosa, ma se si vuole impedire agli uomini di consumare delle donne, allora crolla la società!
In effetti, è un certo tipo di società a crollare, o, quanto meno, ad essere rimessa in causa: quella che accetta, istituzionalizza anche, il principio "naturale" che vorrebbe che la donna fosse tenuta a mettersi a disposizione della sessualità dell'uomo, il quale avrebbe dei bisogni "incontenibili". La prostituzione non è il più vecchio mestiere del mondo; è il più vecchio privilegio. E' questo privilegio ad essere contestato dalla proposta di legge. Ed è per questa ragione, soltanto per questa,  che essa è così ferocemente contestata.                                                                                                                                                                

 

 

giovedì 8 gennaio 2015

Brave persone




Gérard Biard




Nell'esprimere la sua ansia e la sua collera per l'attentato al settimanale Charlie Hebdo, Igiaba Scego scrive:
"Questo attentato non è solo un attacco alla libertà di espressione, ma è un attacco ai valori democratici che ci tengono insieme. L’Europa è formata da cittadini ebrei, cristiani, musulmani, buddisti, atei e così via. Siamo in tanti e conviviamo. Certo il continente zoppica, la crisi è dura, ma siamo insieme ed è questo che conta. I killer professionisti e ben addestrati che hanno colpito Charlie Hebdo vogliono il caos. Vogliono un’Europa piena di paura, dove il cittadino sia nemico del suo prossimo. E in questo vanno a braccetto con l’estrema destra xenofoba. Tra nazisti si capiscono. Di fatto vogliono isolare i musulmani dal resto degli europei. Vogliono vederci soli e vulnerabili. Vogliono distruggere la convivenza che stiamo faticosamente costruendo insieme.
 [..] Chi ha ucciso sa che si scatenerà l’odio. Ora dovremmo non cascare in questa trappola. Ribadire quello che siamo: democratici. Ha ragione la scrittrice Helena Janeczek quando dice che liberté, égalité, fraternité è ancora il motto migliore per vincere la battaglia. E i musulmani europei ribadendo il “Not in my name” potranno essere l’asso nella manica della partita. L’Europa potrà fermare la barbarie solo se i suoi cittadini saranno uniti in quest’ora difficile".
Sono d'accordo con lei.
Nell'esprimere, per quanto poco conti, il mio cordoglio per le vittime dell'attentato e sperando che il settimanale possa proseguire le pubblicazioni, voglio proporvi la traduzione di una serie di articoli sulla prostituzione di Gérard Biard, caporedattore di Charlie Hebdo, portavoce di Zéro Macho e convinto abolizionista.
Qui la traduzione del primo articolo:
 
Non c'è ancora l'annuncio ufficiale, ma ci siamo quasi. Nell'attesa di seppellire definitivamente la legge sulla prostituzione votata in dicembre dall'Assemblea Nazionale, i Senatori le hanno dato un primo colpo di badile, svuotandola di senso. La settimana scorsa la commissione legislativa del Senato ha soppresso uno dei pilastri del testo: la responsabilizzazione penale dei clienti.
Non sia mai! Il consumatore di prostitute non deve assolutamente essere considerato il complice oggettivo di un sistema criminale, un compratore di carne umana nelle sedi della grande distribuzione delle reti di sfruttamento della prostituzione o sui banchi dei piccoli negozi del prossenetismo. Deve rimanere quella brava persona un po' timida che vive il sesso nell'unico modo possibile o quel libertino disinibito che incarna, a seconda dei casi, la virilità francese o la Repubblica dei Lumi.
Prendiamo un esempio concreto, tratto dall'attualità. Un fatto di cronaca riportato da Le Parisien: il 26 giugno i poliziotti della Brigata addetta alla repressione dello sfruttamento della prostituzione hanno arrestato tre uomini a Seine-et-Marne per aver sequestrato due giovani fuggiasche, una di 14 anni, l'altra di 16 e per averle costrette a prostituirsi. "Per cinque giorni nell'hotel di Torcy nel quale erano segregate le due ragazzine si sono avvicendati una quarantina di clienti - racconta uno sbirro. - Le due adolescenti erano costantemente controllate dai tre sfruttatori".
Sul ventre di queste due ragazze si sono dunque alternate quaranta "brave persone". Quaranta. E nessuno ha notato che si trattava di adolescenti minorenni, nessuno ha prestato attenzione alla presenza dei loro carcerieri, nessuno si è accorto che le ragazze non avevano assolutamente voglia di stare lì e di fare quel che stavano facendo. Nessuno si è posto la benché minima domanda.  [Questi clienti] dovevano essere proprio concentrati sul lavoro che stavano svolgendo.
Gli ospiti del Palazzo del Lussemburgo (n.d.t: la sede del Senato francese) hanno ragione: i clienti della prostituzione non devono essere assolutamente infastiditi. Al contrario: devono essere risparmiati, perché sembrano affetti da una grave patologia comportamentale. Il cliente non legge i giornali, non guarda la TV, non ascolta la radio e in rete consulta soltanto i siti di escort.  Quando esce, cammina con il paraocchi fissandosi le scarpe ed è solo quando i suoi piedi incrociano un paio di scarpe con il tacco alto che alza un po' la testa per vedere cosa compra. Poi torna a guardarsi i piedi. Di conseguenza, il cliente non sa che esistono delle reti di trafficanti di schiave, delle reti di magnaccia che controllano la stragrande maggioranza del mercato dove va a fare i suoi acquisti sessuali.
Quindi, quando si fa fare un pompino in auto sui viali parigini, pensa sinceramente che la ragazzina di 40 Kg con le  braccia piene di buchi  che gli offre questo menu "servizio completo" sia lì di sua spontanea volontà, per libera scelta, pensa che avrebbe potuto studiare medicina, ma che ha preferito fare il più rapidamente possibile il suo ingresso nel mercato del lavoro. Quando ordina una Natacha in rete,  se non assomiglia affatto alla Natacha che aveva ordinato la settimana prima sullo stesso sito, si dice che è colpa della memoria che gli sta giocando brutti scherzi. E la settimana dopo, quando richiederà Natacha e questa non assomiglierà per niente alle altre due, andrà a comprarsi delle pillole di fosforo.
Torniamo seri. In realtà, il cliente della prostituzione se ne frega altamente della persona coricata sotto di lui. Quaranta volte su quaranta, come mostra il fatto di cronaca accaduto a Tourcy. Non se ne preoccupa, perché il sistema prostituzionale, che si fonda sul millenario principio  che vuole che la donna sia a disposizione sessuale dell'uomo, è fatto per lui. Non si può quindi pretendere di voler lottare contro un sistema che tutti sono concordi nel considerare in gran parte criminale ed escludere dalle norme di legge il suo principale attore, esonerandolo dalle proprie responsabilità.   

venerdì 2 gennaio 2015

"E' l'idea di possedere un animale, di poterlo usare come ti pare che rende la cosa particolarmente eccitante"


Prostituzione migrante e sopravvivenza dell'immaginario razzista e coloniale
 

La rappresentazione nell'Ottocento e nei primi decenni del Novecento  delle donne africane nelle fonti iconografiche e letterarie concorre in modo determinante a plasmare l'immaginario collettivo italiano e a costruire un apparato culturale funzionale alla legittimazione della conquista dei Paesi del Corno d'Africa e al consolidamento del consenso popolare all'impresa coloniale.
Nella prima fase dell'occupazione proliferano le immagini, spesso realizzate nei postriboli specificamente destinati ai clienti italiani, di donne nude raffigurate in pose sensuali ed invitanti, ad incarnare il mito della Venere nera. Spogliate e private di ogni individualità, del nome come di qualsiasi altro carattere distintivo, esse vengono rappresentate come corpi sessualmente disponibili alla conquista, in grado di riattivare negli uomini italiani una primordiale ed esuberante virilità fecondatrice.
 
 

Queste donne vengono metaforicamente accostate alle nuove terre vergini e fertili da penetrare ed assoggettare: un abbinamento volto a legittimare e a naturalizzare, attraverso il simbolismo dei rapporti di genere, sia il dominio maschile razziale sulle  donne africane, che il potere coloniale esercitato su spazi femminilizzati ed erotizzati.
 
 

Tali rappresentazioni culturali alimentano modelli di potere maschile fondati sulla forza e sulla prevaricazione. E' opportuno ricordare, infatti, che il mito  dell'illimitata disponibilità sessuale delle donne africane non si configura soltanto come uno strumento finalizzato alla costruzione del consenso popolare all'impresa coloniale italiana, ma anche come un mezzo mirante all'imposizione di rigide gerarchie di genere e di razza e volto, soprattutto,  alla giustificazione dell'aggressività e delle violenze commesse dalle truppe italiane. In nome della supposta maggiore licenziosità delle donne africane verranno infatti legittimati numerosi stupri e soprusi.
Agli albori dell'impresa coloniale fascista in Etiopia, il mito della Venere nera influenzerà profondamente le aspettative dei soldati italiani, attratti dall'idea di poter rivendicare l'appropriazione del corpo delle donne africane come bottino di guerra.
Dopo la fondazione dell'Impero nel 1936, la prospettiva muta. Nell'intento di riaffermare la  spiccata superiorità degli italiani, il regime fascista implementa una serie di dispositivi giuridici preordinati all'instaurazione di un rigido sistema di segregazione razziale. Vengono vietati i rapporti coniugali ed extraconiugali tra “razze” diverse, proibita la legittimazione e l’adozione di figli nati dall’unione di “cittadini” con “sudditi”, incentivato il trasferimento di donne italiane nelle colonie.
A questo mutato orientamento corrisponde l'ideazione di un nuovo repertorio iconico e testuale. Le immagini della Venere nera vengono soppiantate da rappresentazioni di tipo etnografico che evidenziano caratteri fisici interpretati come segni di inferiorità. Le donne africane vengono descritte come esseri deformi, incivili e subiscono un processo di disumanizzazione attraverso l'attribuzione dei tratti selvaggi del primitivismo e dell'animalità.
 
Nelle razze negre - scrive un anno prima della fondazione dell'Impero l'antropologo Lidio Cipriani - l'inferiorità mentale della donna confina con una vera e propria deficienza; anzi, almeno in Africa, certi contegni femminili vengono a perdere molto dell'umano, per portarsi assai prossimi a quelli degli animali". [Lidio Cipriani, Un assurdo etnico: l'Impero etiopico, 1935, p.181]
 
Questi retaggi culturali razzisti e coloniali sopravvivono nella mentalità di clienti delle prostitute nigeriane, come attestano le seguenti testimonianze riportate dal sociologo marxista Emilio Quadrelli nel saggio Corpi a perdere, incluso nel libro La città e le ombre, a cura dello stesso  Quadrelli e di Alessandro Dal Lago:
 
Ogni tanto, diciamo una volta alla settimana, vado con le negre. Sono stato anche con altre prostitute, ma con le negre mi diverto di più, è come fare un safari. Mi sembra di andare a caccia. Mi sembra di cacciare degli animali grandi e grossi. Poi sono tutte uguali, vai nel mucchio, non hai il problema della scelta. Poi loro per i soldi fanno tutto, con loro ti senti una potenza. Non mi interessa tanto la cosa di per sé, è l'idea di possedere un animale, di poterlo usare come ti pare che rende la cosa particolarmente eccitante. (Cliente di 23 anni).
 
Ogni tanto vado con delle prostitute straniere. Sono stato sia con le slave che con le nere. Preferisco le nere. Sono una novità e poi mi sembra che si possa fare con loro quello che si vuole, sono un po' come delle bestie, sempre in calore, che non patiscono niente. Poi ne hanno sempre voglia.  [..] Te l'ho detto, è un po' come avere a che fare con degli animali. Vado con loro proprio per questo. [..] La scelta è abbastanza casuale, le negre hanno tutte la stessa faccia e poi a me interessa il resto. Mi piacciono quelle un po' più abbondanti. [..] Così le posso strizzare ben bene. Mi diverto a farle bruciare la pelle. [..] (Cliente di 21 anni).
 
Sono stato con delle prostitute straniere qualche volta. Ci vado perché loro sono così naturalmente, si vede che gli piace, sì lo fanno anche per guadagnare, però sono più portate specialmente le slave, sembra che non aspettino altro. Mi sembra che per le straniere sia il lavoro preferito. Poi con le negre sei anche curioso, sembrano un po' degli animali feroci, ci vai e ti sembra di rischiare, l'idea del rischio fa aumentare il desiderio. A volte lo dico per scherzo, a volte però lo credo sul serio, e magari le dico: "Ehi non mi mangiare". [..] Quando vai con una nera che magari è settanta chili la paura ti viene, allora subentra il gioco di chi è più forte, di chi comanda. (Cliente, 19 anni).
 
In questi enunciati è condensato l'intero repertorio dei topoi razzisti di entrambe le fasi della colonizzazione: il mito dell'incondizionata e "naturale" disponibilità sessuale delle donne africane (loro sono così naturalmente, sono più portate, ne hanno sempre voglia), la loro percezione come animali selvaggi temporaneamente addomesticati, che legittima qualsiasi atto di appropriazione, di dominio, di prevaricazione e di sadismo (sono un po' come delle bestie sempre in calore che non patiscono niente, con loro si può fare quello che si vuole, le posso strizzare ben bene, mi diverto a farle bruciare la pelle, è l'idea di possedere un animale, di poterlo usare come ti pare che rende la cosa particolarmente eccitante), la loro rappresentazione come carne indifferente, priva di individualità (poi sono tutte uguali, vai nel mucchio, non hai il problema della scelta), l'attribuzione  ad esse di caratteri primitivi e selvaggi (E' incredibile come pensiate a noi come a degli esseri appena usciti dalla foresta, osserva la prostituta nigeriana Jenny).
La terza testimonianza che ho riportato introduce un altro stereotipo razzista: il cannibalismo delle donne africane, che non è affatto estraneo all'immaginario coloniale, come dimostra questa figura.
 
 

 


Si tratta di un'incisione di Theodor Galle del 1589 che rappresenta Amerigo Vespucci sulle spiagge del nuovo continente, dove si imbatte in una donna seminuda distesa su un'amaca che lo invita ad accostarsi. La scena appare dunque conforme al modello figurativo che ho precedentemente illustrato.  Tuttavia, sullo sfondo si intravedono donne che praticano il cannibalismo. L'incisione  è, dunque, espressione di un atteggiamento ambivalente, sospeso fra il desiderio erotico di conquista, l'attrazione sessuale esercitata dalle donne indigene e il timore di essere divorati, assimilati, privati della propria identità da questi esseri "selvaggi". Il tema verrà ripreso dal colonialismo italiano, soprattutto nel periodo dell'impero fascista, quando verranno vietate le relazioni sessuali con le donne africane e verrà imposta la segregazione razziale, per preservare la "purezza" del sangue dei coloni.

Mistificazioni


In un recente articolo sul retaggio dell'immaginario coloniale nella prostituzione, la figura del cliente viene disinvoltamente rimossa dall'orizzonte discorsivo e  la sua mentalità razzista viene grottescamente proiettata sulle femministe abolizioniste, operando un vero e proprio ribaltamento della realtà, come se fossero queste ultime a perpetuare frame razzisti e a praticare violenze sulle donne prostituite.


Questa mistificazione della realtà produce un duplice effetto. In primo luogo,  distoglie lo sguardo di lettori e lettrici dai veri eredi della mentalità coloniale e razzista: i clienti di cui ho riprodotto le testimonianze, ne salvaguarda l'immagine, li protegge dalle critiche, li esenta da ogni responsabilità. In secondo luogo, costruisce un nemico, un capro espiatorio contro cui convogliare l'odio di lettori e lettrici: le femministe abolizioniste, oggetto in Italia, da parte di alcune persone, di  una spietata demonizzazione che fa ricorso anche alla mistificazione.

Un'altra forma di alterazione della verità è ravvisabile nell'accusa completamente infondata rivolta alle abolizioniste di confondere prostituzione e tratta e di ridurre quest'ultima a quella delle donne nigeriane. L'insinuazione è funzionale all'inserimento artificioso delle abolizioniste nella categoria dei sostenitori e divulgatori dei miti coloniali e razzisti.
A destare stupore e perplessità è il fatto che questa accusa venga ossessivamente reiterata di anno in anno, malgrado le smentite e le confutazioni, configurandosi come una vera e propria leggenda metropolitana.
Ho già chiarito altrove, più di un anno fa, come  la tratta non comporti necessariamente né il trasferimento al di fuori dei confini nazionali, né lo spostamento da e verso Paesi che non aderiscono agli accordi di Schengen e come la maggioranza delle vittime  e, in genere, delle prostitute straniere nell’Europa occidentale sia costituita da donne provenienti dall'Europa centrale ed orientale e, dunque, da bianche. Questa osservazione mi consente di confutare l'insinuazione calunniosa che il  colore nero della pelle rappresenti per le femministe abolizioniste il dato centrale attorno al quale costruire il mito razzista della vittima di tratta. E' questa un'affermazione falsa e diffamatoria, come lo è l' asserzione che alle abolizioniste non importerebbe nulla del traffico di esseri umani non finalizzato allo sfruttamento sessuale. E' ovvio che a noi, come  a qualsiasi altra persona , stia molto a cuore la lotta contro ogni forma di tratta e  contro il caporalato! Peraltro, queste accuse oltraggiose sono state mosse da chi ha tradotto testi di una studiosa che vorrebbe abolire il termine tratta (Laura Agustin)!
Mi pare, poi, francamente assurdo attribuire alle abolizioniste l'idea che la prostituzione rappresenti una forma di devianza individuale (sic!!!!). Ma  quando mai? In quale articolo o libro sarebbero riportate queste asserzioni? Esiste, al contrario, una nutrita letteratura di ispirazione abolizionista che evidenzia le strette connessioni esistenti tra capitalismo, razzismo, disuguaglianze economiche, sociali e di genere e  diffusione della prostituzione!  Penso, per citare  soltanto qualche nome, alle analisi del sociologo marxista Richard Poulin, delle femministe   Jacqueline Pénit-Soria e Claudine Blasco della commissione Genere di Attac France, ai testi di una femminista materialista come Jules Falquet. Quest'ultima critica aspramente la nuova divisione internazionale del lavoro  che prevede, per la maggioranza delle donne migranti, la possibilità di svolgere due sole attività: il lavoro domestico e la prostituzione. La sua valutazione è perfettamente consonante con quella espressa nel 1996 da Silvia Federici, le cui parole trascrivo:
 
"(...) la nuova divisione internazionale del lavoro veicola un progetto politico ferocemente antifemminista e, lungi dal costituire uno strumento di emancipazione delle donne, l'espansione delle relazioni capitaliste intensifica lo sfruttamento delle donne. In primo luogo essa ripropone l'immagine della donna come oggetto sessuale e come riproduttrice (...) La nuova divisione internazionale del lavoro significa che numerose donne del Terzo mondo devono lavorare come domestiche o come prostitute, nel loro Paese o all'estero, perché non hanno altra scelta (...) Il carattere antifemminista della nuova divisione internazionale del lavoro è così evidente che viene da chiedersi in che misura essa sia il prodotto della «mano invisibile» del mercato o invece di una pianificazione deliberata come risposta alle lotte che le donne hanno combattuto sia nel Terzo mondo che nelle metropoli [occidentali] contro la discriminazione, il lavoro non retribuito e il «sottosviluppo» in tutte le sue forme. Comunque sia, è evidente che in Europa e negli Stati Uniti le femministe devono organizzarsi contro le soluzioni coercitive che la nuova divisione internazionale del lavoro impone alle donne (...)".
 
Parole che qualsiasi femminista abolizionista italiana o straniera sarebbe disposta a sottoscrivere.
Potrei aggiungere ulteriori considerazioni, ma mi limito  a far notare, per concludere, come uno studio di Melissa Farley e delle sue collaboratrici riveli che l'89% delle donne che si prostituiscono vorrebbero  smettere, se si offrisse loro l'opportunità di farlo.
 
Sono queste le voci che nessuno ascolta, voci soffocate ed occultate. La stragrande maggioranza delle donne che praticano rapporti mercenari è ridotta al silenzio e non vede realizzate le proprie aspirazioni, così come inascoltate rimangono le testimonianze delle sopravvissute alla prostituzione.
Noi femministe abolizioniste vogliamo ascoltarle.