Il rapporto del 2018 di Save The Children su tratta e sfruttamento minorile
https://www.savethechildren.it/press/tratta-e-sfruttamento-nel-mondo-10-milioni-di-bambini-un-solo-anno-vittime-di-lavoro-forzato
venerdì 27 luglio 2018
mercoledì 25 luglio 2018
"Liberazione sessuale": il momento in cui il dominio maschile si è reinventato
In questa intervista rilasciata alla bravissima Francine Sporenda e pubblicata sull'interessantissimo blog Révolution Féministe , che vi invito calorosamente a seguire, il sociologo Richard Poulin illustra sinteticamente i contenuti del suo ultimo libro "Une culture d’agression. Masculinités, industries du sexe, meurtres en série et de masse" nel quale istituisce un nesso tra prostituzione, pornografia e omicidi di massa e in serie come forme di dominio e di appropriazione maschile del corpo delle donne rivelatrici della configurazione che assume nella nostra società il rapporto sociale tra i sessi ed espressione della mortifera concezione della mascolinità che la caratterizza.
Intervista di Francine
Sporenda a Richard Poulin
Richard
Poulin è professore emerito di sociologia (università di Ottawa) e professore
associato all'Istituto di ricerca e di studi femministi (UQAM). E' autore di
opere sulle industrie del sesso, le questioni etnico-nazionali, le violenze
omicide, nonché sul socialismo e sul marxismo. Dirige "M
éditeur" ed ha appena pubblicato " Une
culture d’agression, masculinités, industries du sexe, meurtres en série et de
masse".
F.S: Lei dice che il capitalismo ha recuperato il sesso.
Nell'ambito di questa sessualità mercificata, l'ingiunzione a godere è
"ormai una condizione della salute e dell'equilibrio mentale". In
passato, il godimento era vietato alle donne, ora è diventato obbligatorio.
Quali sono le conseguenze di questa ingiunzione per le donne ed esse hanno
tratto vantaggio da questo cambiamento?
R.P. Si è parlato di "rivoluzione sessuale"
, di "liberazione sessuale", ma credo che con il contraccolpo (che si
è avuto), si debba piuttosto parlare di "liberalizzazione sessuale". Perché? La
libertà sessuale (ottenuta grazie alla pillola contraccettiva) ha certo
permesso la dissociazione della sessualità dalla riproduzione e permesso di
levare quel peso che ha sempre gravato fortemente sulle donne: la paura della
gravidanza indesiderata. Ora, ciò ha ugualmente permesso agli uomini di aver
più facilmente accesso ai corpi femminili. Le giovani donne che non facevano
sesso, in particolare quelle che frequentavano
i luoghi della militanza, erano
malviste, erano considerate conservatrici o reazionarie, puritane, complessate.
La pressione era dunque enorme. E l'uomo che non riusciva a sedurre con
facilità le donne per far sesso con loro non stava bene, si sentiva inadeguato,
incapace.
Poi, molto
rapidamente, si è imposto il dovere della performance, nello stesso tempo in
cui si definiva il diktat della giovinezza, della snellezza anoressica, della
femminilità esacerbata. La moda unisex cedeva il posto a una sessualizzazione
cristallizzata degli attributi. Il
dominio maschile si rinnovava, avanzando "mascherato sotto la bandiera
della libertà sessuale". (Anne-Marie Sohn) E la liberalizzazione sessuale provocava
un'esplosione della mercificazione del sesso.
C'è questa
ingiunzione a godere per le donne e ciò diventa possibile nella misura in cui
si scopre che esse hanno un presunto "punto G". Questa sedicente
scoperta trova sbocco nell'ottimizzazione delle performances coitali e
nell'obbligo di orgasmi multipli. Inoltre, essa
attribuisce alle donne la responsabilità per il proprio godimento e, con
lo stesso movimento, deresponsabilizza (di nuovo) gli uomini. Essa apre così la
via a un' "irreggimentazione sessuale" rinnovata. L'ingiunzione a
godere è ormai una condizione della salute e dell'equilibrio mentale. In breve,
le donne che non trovano il loro "punto G" devono sentirsi in colpa
per il fatto di non riuscire ad avere un orgasmo vaginale anziché un orgasmo
clitorideo. E si sa anche che, al giorno d'oggi, parecchie giovani donne trentenni
e ventenni che vanno a farsi visitare dal ginecologo lamentano dolori durante i
rapporti sessuali: non va come dovrebbe andare, fanno molta fatica ad accettare
l'idea che debbano essere performanti: che non solo debbano far godere il
partner, ma che esse stesse debbano assolutamente godere. E sembra sempre più
difficile e complicato per alcune di loro essere in grado di raggiungere
l'orgasmo, soprattutto se quest'ultimo deve essere imperativamente vaginale.
Ma questa
ingiunzione a godere va di pari passo con un'altra ingiunzione: quella di
essere bella, di prestare attenzione al proprio corpo, di prestare ascolto al
corpo altrui e al proprio, di far sì che il proprio corpo sia attraente per
l'altro, di usare ogni mezzo perché lo sia. Bisogna anche guardare video porno
per capire cosa piace agli uomini, essendo il loro piacere legato alla propria
oggettivazione: il fatto di diventare oggetti del desiderio, è qualcosa che
appare come estremamente importante. Le
riviste femminili se ne fanno interpreti in modo incredibile, le riviste per
adolescenti pure. Dunque, si ha un bombardamento continuo di queste donne e di queste giovani donne, le
adolescenti, sul modo in cui dovrebbero
essere. Ciò fa sì che gli interventi di chirurgia estetica, in particolare
quelli per l'inserimento degli impianti mammari, siano aumentati in misura
molto significativa. Si hanno i dati per gli Stati Uniti e la Spagna, ma
immagino che i dati siano simili per il Canada e la Francia. Ci dicono che dobbiamo star bene nella nostra pelle, ma per
star bene nella nostra pelle, dobbiamo trasformarla. E queste trasformazioni
sono dettate dai desideri degli uomini: ad esempio, avere un seno più
prosperoso. Dunque la pressione sulle donne - sul corpo delle donne e
psicologica - è enorme.
C'è anche sugli
uomini, ma molto meno. C'è la depilazione per gli uomini, che è in crescita, ma
la depilazione quasi totale delle donne è imperativa. Avevo fatto un'indagine
presso studenti e studentesse sul loro consumo di pornografia e uno studio, a
completamento dell'indagine, sulle trasformazioni corporee. C'era una
correlazione molto forte tra l'età di inizio del consumo di pornografia e le
trasformazioni corporee. Trasformazioni che potevano essere temporanee, come la
depilazione, ma che potevano anche essere permanenti, come il tatuaggio. Ci si
è resi conto che, più le adolescenti iniziavano presto a consumare pornografia,
più la depilazione era la norma, più avevano tatuaggi, più avevano piercings
ecc. Quindi, l'immagine del corpo femminile pornificato diventava un modello di
femminilità.
F.S: Dunque, in definitiva, la sessualità,
in un modo o nell'altro, rimane sempre uno strumento fondamentale di controllo
delle donne?
R.P. Sì, e
quando parlo di mercificazione del sesso, non mi riferisco solo al fatto che le industrie
del sesso mercificano il corpo delle donne (e delle bambine), ma anche all'idea
che, per star bene nella propria pelle, bisogna adottare norme che sono quelle
dell'industria pornografica. La depilazione dei peli pubici deriva da quella
che è stata chiamata "la guerra al pelo" che si è svolta su Playboy, Penthouse e su altre riviste di questo tipo.
All'inizio degli anni Novanta il pube
delle donne non era depilato nelle immagini pornografiche. Questa guerra ha
innescato una competizione, si è arrivati alla fine a mostrare tutto e, infine,
il pelo è diventato un ostacolo che impediva di vedere gli organi sessuali. E'
a partire da questo momento che si è cominciato a spuntarlo e a raderlo, poi si
è andati fino alla depilazione totale. Oggi abbiamo la parte alta del corpo
corretta dalla chirurgia plastica con gli impianti mammari che sono spesso
enormi, quando non deformi, e la parte bassa del corpo depilata. Si tratta di
un'infantilizzazione pornografica di questa parte del corpo delle donne - come
se la donna messa in scena fosse di età prepubere, avesse il dovere di rimanere
una ragazzina - e, per quanto concerne la parte alta del corpo - c'è, al
contrario, un'amplificazione degli organi della femminilità.
F.S. Lei cita il monito della femminista Diana Russell che
dichiarava nel 1974 che "se la liberazione sessuale non si accompagna a
una liberazione dai ruoli sessuali tradizionali, può derivarne un'oppressione
delle donne ancora più grande che in precedenza". E' quel che si è
prodotto? E quale analisi politica fa lei del concetto di "liberazione
sessuale"? C'è stato per le donne adeguamento agli obiettivi sessuali
maschili, vale a dire maggior accesso sessuale al corpo delle donne?
R.P. Sì. Si
può comunque dire che la pillola ha
svolto un ruolo [positivo], perché quando è diventata disponibile, si è detto
che le donne avrebbero potuto fare l'amore con tutti gli uomini che desideravano senza avere il timore di
rimanere incinte. Quindi c'è stata una liberazione su questo piano. Ma, nello
stesso tempo, emergeva l'ingiunzione in base a cui una donna doveva far l'amore con parecchi uomini.
F.S. Le donne non avevano più alcun motivo di rifiutarsi
agli uomini. Ciò apriva a questi ultimi un accesso sessuale quasi illimitato?
R.P. Sì, l'accesso degli uomini alle donne è diventato
molto più grande. E gli uomini ne hanno tratto enormi vantaggi. Le donne ne hanno
tratto vantaggi? Non ne sono sicuro. Non posso parlare in loro nome, ma ciò ha
chiaramente permesso agli uomini di avere un accesso maggiore alle donne. Ora, questo accesso maggiore alle donne è
stato accompagnato da un'esplosione della pornografia e della prostituzione.
Ciò è paradossale, perché si sarebbe potuto supporre che un
accesso maggiore alle donne avrebbe fatto diminuire l'industria della
prostituzione. E' accaduto esattamente il contrario. Quindi, per gli uomini, l'accesso
al corpo delle donne si è moltiplicato non solo nel "rimorchio", ma anche nel sesso a pagamento. E' questo che
mi fa pensare che non abbiamo assistito a una liberazione sessuale, ma a una
liberalizzazione sessuale: verso gli anni Novanta ha avuto luogo un'esplosione
della mercificazione e dell'oggettivazione
del corpo delle donne nel mondo.
F.S: Cosa ne pensa della tesi femminista secondo la quale
la crescita della pornografia (di pari passo con il ritorno delle religioni in
versione fondamentalista) costituisca una "rivalsa simbolica degli uomini a
fronte dello sviluppo dell'affermazione e dell'autonomia delle donne?" E
che la pornografia permetterebbe agli uomini di riguadagnare il terreno perduto
in seguito ai progressi femministi?
R.P: Nelle
mie ricerche sulla pornografia, negli anni '80, prima di Internet, ho intervistato uno degli editori della
rivista porno canadese Rustler. Diceva
che ciò che faceva vendere di più la loro rivista erano le foto di donne in
ginocchio davanti ad un uomo mentre gli stavano praticando una fellatio. Per
lui era il simbolo stesso del fatto che le donne erano sottomesse agli uomini e
che se gli uomini amavano queste foto si trattava di una sorta di rivalsa contro il
movimento femminista. Era la sua
spiegazione e io penso che fosse
basata su un fondo di verità. La
pornografia è diventata per gli uomini uno strumento simbolico per relegare le
donne a una condizione inferiore. Il movimento femminista ha affermato
l'autonomia e l'uguaglianza delle donne, ma la pornografia dice che questa
uguaglianza è impossibile. Questa inferiorizzazione pornografica pone il
problema dei rapporti uomini-donne, ma pone anche il problema del razzismo.
Lo status degli uomini e delle donne "nere" nella pornografia è lo status
degli animali: un uomo di colore è uno
stallone. Questa animalizzazione, che
è una forma di inferiorizzazione, si applica anche alle donne nella vita
quotidiana. In Francia il sesso della donna si chiama "gatta". Questi
paragoni con gli animali sono innumerevoli quando si tratta delle donne e degli
uomini e delle donne nere, perché un animale non può essere uguale ad un uomo.
Un uomo bianco ha il potere e il diritto di addestrare un animale così come ha
il potere di addestrare un uomo nero. C'è tutto un immaginario maschile di
inferiorizzazione e di sottomissione delle donne bianche, degli Africani e
delle Africane, delle donne asiatiche ecc. E solo gli uomini bianchi sfuggono a
questa animalizzazione.
F.S: Ho sentito clienti della prostituzione dichiarare che
se usavano le prostitute era perché le donne erano diventate impossibili, troppo
esigenti, arroganti ecc. e che, nella prostituzione, ritrovavano delle donne
sottomesse, al servizio degli uomini, così come loro non avrebbero mai dovuto
cessare di essere.
R.P. Si
cerca sempre di giustificare ciò che si fa in tutti i modi possibili e non è
mai colpa di noi uomini. Questo è un elemento base della tradizione
giudaico-cristiana con l'espulsione dal paradiso terrestre: è colpa di Eva se siamo
stati cacciati dal paradiso, Adamo è completamente innocente, lui non aveva
capito cosa stesse succedendo. Per definizione, è Eva la responsabile della
caduta umana. Ed è ancora così: per gli uomini sono sempre le donne ad essere
responsabili delle loro azioni, mai loro stessi. Gli uomini sono infantili. Un
bambino vi dirà: " Non è colpa mia, è colpa degli altri" Penso che
questi uomini siano frustrati nella misura in cui non ottengono mai ciò che
cercano nella prostituzione. Quindi se
non l'ottengono, è per colpa delle donne. Le ricerche sui "clienti"
della prostituzione, i prostitutori, mostrano bene che questi uomini agiscono
come quegli individui che vogliono assolutamente procurarsi l'ultimo modello di
i-phone, anche se il loro funziona ancora molto bene. Quindi, c'è una frenesia
permanente del consumo perché si è insoddisfatti del prodotto che si ha, così
come si è insoddisfatti del rapporto con la donna prostituita e si pensa che la
prossima volta andrà meglio. Non è mai meglio, perciò ciò determina una fuga in avanti che si traduce in
un richiamo al consumo costante.
F.S. Quali sono, secondo lei, le conseguenze della
pornografia sul rapporto uomo-donna? Come può sopravvivere il concetto di amore
eterosessuale, di amore "romantico", in particolare, in una società
in cui la pornografia onnipresente dà un'immagine così degradata della donna (e
dell'uomo)?
R.P. La
pornografia non è la sola incriminata; si aggiunge ad altri fattori sociali, ma
i consumatori di pornografia, i pornofili, subiscono gli effetti di questo
consumo nella loro vita sessuale. Questi effetti sono stati documentati: questi
uomini sviluppano disfunzioni sessuali erettili e hanno difficoltà ad eiaculare
con una "donna vera". C'è anche l'incitazione alla violenza sessuale:
negli Stati Uniti molte inchieste hanno mostrato che presso i giovani
consumatori di porno l'idea di poter passare all'atto e stuprare è molto forte.
Un'altra conseguenza del porno per i giovanissimi - perché il consumo di
pornografia avviene molto presto - è l'insoddisfazione relativa al proprio corpo. Ovviamente quando si ingaggia
un attore porno è perché ha delle doti fisiche come la capacità di avere
rapporti sessuali su richiesta davanti alle telecamere e un pene più grande
della media. I giovani che guardano e fanno il confronto con il proprio corpo
sviluppano dei complessi relativi al proprio fisico. Questo per quanto riguarda
i ragazzi. Ma per le ragazze la
conseguenza è che si abituano a
comportamenti degradanti. Le faccio un esempio: nelle interviste realizzate con
giovani ragazze c'era una pratica che tornava molto frequentemente: era
l'eiaculazione facciale. Alcune delle ragazze che ho intervistato avevano
accettato di ricevere sperma sul viso per far piacere al loro ragazzo, anche se
lo trovavano degradante. I ragazzi pensavano che non fosse un problema e che,
anzi, fosse piuttosto eccitante. Dunque questo
induce a dei comportamenti ove la degradazione dell'altra diventa un
semplice gioco sessuale normale.
F.S. La diffusione molto ampia della pornografia e la
normalizzazione della prostituzione cambiano radicalmente i rapporti fra uomini
e donne e l'intera società. Guardi cosa accade in Germania.
R.P. In
Germania circa i due terzi degli uomini hanno pagato rapporti sessuali, in
Canada l'11% circa, in Francia il 12,5% circa. E' evidente che in una società
come quella tedesca l'idea che hanno gli uomini delle donne deve essere diversa
da quella di una società come la mia o la sua. Ciò produce un'idea delle donne
come esseri a disposizione degli uomini e si traduce con la reazione di quella
ragazza di cui ho parlato che trovava che l'eiaculazione facciale, in fondo,
non fosse così degradante. Ma bisogna fare una distinzione tra la pornografia e
la prostituzione: la pornografia è molto più universale della prostituzione. In
Germania, in Francia o in Canada la pornografia è più o meno universale e ci
sono anche donne che la consumano, non più soltanto gli uomini. La pornografia
ha, nell'immaginario collettivo e nei rapporti sociali fra i sessi,
un'influenza maggiore della prostituzione.
F.P. Sono incline a pensare che la pornografia sia
contemporaneamente un incitamento a passare alla prostituzione e un manuale di
istruzioni per farlo: la pornografia è
la teoria e la prostituzione la pratica, l'esecuzione delle pratiche sessuali
proposte dalla pornografia
R.P. Lei ha ragione, si può anche definire la
pornografia come propaganda a favore
della prostituzione.
F.P. La pornografia sarebbe performativa?
R.P. Proprio
così. Prendiamo ad esempio gli attori porno. Di solito in una scena si vede il
sesso dell'attore, ma mai il suo viso e il suo comportamento è quello di una
macchina. Al contrario, il viso delle donne è mostrato, perché mostrare il loro
"godimento" è imperativo. Del resto il porno è uno dei rari campi in
cui le "attrici" guadagnano più degli "attori". Perché sono
loro ad essere al centro della pornografia, non gli uomini. Infatti gli uomini
si possono rimpiazzare con un vibratore, con degli animali, con qualsiasi cosa.
F.P. Nel suo libro
Lei dice che la pornografia è un incitamento al passaggio all'atto. Lei cita
studi statistici in merito.
R.P. Non
solo al passaggio all'atto, la pornografia incita alla violenza sessuale,
promuove l'oggettivazione, la mercificazione. E' per questo che parlo della
pornografia come propaganda a favore della
prostituzione. E non ci sono limiti. Ho
pubblicato alcune cifre in merito in un libro precedente: Sexualisation précoce et
pornographie (Paris, La Dispute, 2009). Questi dati sono frammentari, malgrado
l'onnipresenza del porno nelle nostre società. Perché? Semplicemente perché ci sono pochissime ricerche universitarie sul porno, come se il
soggetto fosse tabù, riguardasse la libertà di espressione e, qualsiasi
irruzione in questo spazio, fosse pure per svolgere delle ricerche, fosse
condannabile in quanto attaccherebbe la prima delle nostre libertà. Ora, quando ascoltiamo le persone che lavorano
nei servizi sociali, capiamo di più sull'industria
del porno. Così, alle prese con aggressori sessuali più giovani di quanto
avvenisse 15 anni fa, operatori e operatrici del Centro di psicologia legale di
Montréal, che prende in carico gli aggressori sessuali minorenni, istituiscono
un nesso fra la sempre più giovane età degli aggressori, il consumo
pornografico e la sessualizzazione pubblica.
F.P.
Lei sottolinea nel suo libro
che le violenze nei confronti delle donne (come
gli omicidi di massa) non sono atti impulsivi e che ridurre i motivi di
questi atti a fattori puramente psicologici e individuali - un'infanzia
infelice, un padre assente, la "follia" o la famosa "madre
castratrice" - occulta i significati sociali di queste violenze. Quali
sono i significati sociali di queste violenze?
R.P.
Gli omicidi di massa (tre vittime o più) che non si producono in
famiglia, quelli che si producono nelle scuole, nei luoghi pubblici, al lavoro
ecc… sono omicidi unicamente maschili. Sono uomini che uccidono degli estranei
o persone che non fanno parte della
cerchia degli intimi. Se si fa appello alla sola psicologia per spiegare
l'atto dell'assassino, si occulta il fatto che è la mascolinità ad attivarsi e
che è una mascolinità violenta. Ci sono degli omicidi di massa eseguiti dalle
donne, ma ciò avviene in famiglia e si tratta generalmente della donna che
uccide i suoi figli per svariate ragioni. Questo avviene attualmente meno
spesso che negli anni 1930-40, quando ciò avveniva più frequentemente. Era
un'epoca di grande povertà, le donne sole si separavano in tal modo dai propri
figli perché la vita era troppo dura. Oggi,
quando l'omicidio avviene nell'ambito della famiglia, è generalmente l'uomo che
uccide la moglie e i figli o soltanto i figli. Sono sempre gli stessi i motivi
che vengono indicati indicati: è in genere quando l'uomo si accorge che sua
moglie vuole lasciarlo che passa all'atto (74% dei casi). E se si analizza
questo atto come un "delitto passionale" o come la follia di un uomo
che non accetta di essere lasciato, si tralascia l'essenziale: che sono gli
uomini ad uccidere donne e bambini. Perché queste donne e questi bambini sono
percepiti come loro proprietà ed essi considerano inaccettabile che gli si sottraggano
i diritti che esercitano su queste persone. Questo discorso lo si sente
regolarmente, ma non se ne tiene conto perché si preferisce studiare la
psicologia di questi assassini, presentarli come squilibrati, si chiamano in
causa concetti freudiani: si offrono come spiegazione la "madre
castratrice", il "padre assente". Ora, non tutti gli uomini che hanno un
"padre assente" e una "madre castratrice" diventano
assassini. Ci devono dunque essere ben altre cause.
Mentre
questi omicidi vengono spiegati facendo
ricorso alla patologia degli assassini ( "hanno perso la testa!"), io
li analizzo a partire dalle caratteristiche delle vittime. Questa prospettiva
radicalmente nuova negli studi universitari rivela la dinamica sessista e
razzista troppo sovente ignorata di questo tipo di crimine. Quando i media
trattano degli assassinii di donne, qualificano generalmente l'evento come
"dramma famigliare" o come "delitto passionale";
espressioni che occultano la violenza maschile. Quando evocano il problema
degli omicidi nelle scuole, i media fanno regolarmente riferimento a "giovani
(n.d.t maschi e femmine) che uccidono altri giovani", mentre in realtà ad
uccidere sono giovani maschi (100%).
Allora, i discorsi che inseriscono la violenza nel solo alveo della psicologia
degli assassini ("nulla lasciava presagire un tale atto di follia") si
disinteressano completamente dei significati sociali sessisti e razzisti di
queste violenze. Tali discorsi rifiutano di nominare questa violenza, che è
maschile e, di fatto, la occultano.
F.S
Lei pensa, infine, che vi sia
una base biologica della violenza maschile, come pensano le femministe
essenzialiste?
R.P.
Come sociologo, mi tirerei la zappa sui piedi, rispondendole di sì! Ciò
mi toglierebbe la possibilità di esercitare il mio mestiere. Penso che si
tratti piuttosto di un problema di socializzazione. Avevo un collega che aveva
fatto una ricerca sul campo in Amazzonia presso i Wawana. Tutti i comportamenti
che conosciamo qui, nella nostra società, non erano conosciuti là: nessuna
competizione, nessuna concorrenza tra gli uomini; gli uomini se ne vanno a
cacciare nella foresta la mattina e ritornano la sera dopo avervi trascorso
ore. Se restano tanto tempo nella foresta
è per permettere ai cacciatori meno abili di tornare anch'essi con una
preda. Non c'è concorrenza fra gli
uomini, non c'è neppure la monogamia, quindi, non c'è gelosia. Non c'è la
proprietà privata, non si vuole
avere ciò che ha l'altro, perché l'altro lo condivide. Dunque si tratta di una società totalmente differente.
E' quel che avviene nelle società matrilineari, in assenza di proprietà privata
e ciò fa sì che i comportamenti siano diametralmente opposti a quelli che
conosciamo nelle nostre società. Perciò,
la spiegazione biologica non è pertinente.
Un'altra differenza
interessante è che quando questo collega poneva la domanda: "Chi è più
bello?" , gli uomini si rifiutavano di rispondere. Ma, finalmente,
insistendo, questo collega ha ricevuto una risposta. Gli uomini hanno detto:
"Siamo noi i più belli". In questa cultura gli uomini sono visti come
più belli delle donne, perché in natura gli uccelli e gli animali maschi sono
spesso più colorati, più ornati delle femmine ed è per questo che loro
pensavano (diversamente da noi) che il "bel sesso" non erano le
donne, ma gli uomini.
F.S. Ci sono
culture come quella dei Masai nelle
quali sono gli uomini che si adornano, si dipingono, si mettono in mostra.
R.P: E' proprio la socializzazione a spiegare la violenza di certe società. Non
è il fatto di avere un pene a determinare il dominio sull'altro sesso.
Qui trovate la versione originale del testo https://revolutionfeministe.wordpress.com/2018/02/19/liberation-sexuelle-quand-la-domination-masculine-sest-reinventee/
lunedì 16 luglio 2018
Sbattute contro i muri
Sbattute contro
muri, pavimenti, mobili, lavandini, cruscotti,
volanti e finestrini di automobili, spinte violentemente contro altre persone, fatte urtare contro veicoli, edifici, porte o scale.
volanti e finestrini di automobili, spinte violentemente contro altre persone, fatte urtare contro veicoli, edifici, porte o scale.
Oppure tempestate di
pugni o colpite alla testa con bastoni, mazze,
bottiglie, martelli, cacciaviti, pistole, telefoni, cinghie, doghe, tubi d'acciaio.
bottiglie, martelli, cacciaviti, pistole, telefoni, cinghie, doghe, tubi d'acciaio.
Sono le donne in condizione di prostituzione
protagoniste di Screening for Traumatic Brain Injury in Prostituted Women, lo studio di Melissa Farley, Martha E. Banks, Rosalie J. Ackerman e Jacqueline M.
Golding pubblicato sul numero di aprile
di Dignity: A Journal on Sexual Exploitation and
Violence.
Le ricercatrici hanno analizzato l'incidenza del trauma cranico provocato
da atti violenti nelle donne che si prostituiscono. A tal fine, hanno
somministrato un apposito questionario a 66 utenti di quattro agenzie, due di
San Francisco, una di Chicago e l'altra di Toronto, che offrono supporto a chi
desidera uscire dalla prostituzione.
L'età media delle partecipanti allo studio è di 36, 8 anni; la più
giovane ha 16 anni e la più anziana 58. Il 65% è di discendenza africana o
caraibica, il 23% di origine europea, l'8% latino americana e il 3% nativa
americana. Il 67% del campione è costituito da donne e il 33% da donne transessuali. L'età media di accesso
alla prostituzione è di 21 anni, ma il 36% ha iniziato prima di aver compiuto
18 anni : fra di loro il 25,7% di donne e addirittura il 55% di donne
transessuali.
Tra le 66 partecipanti una non ha risposto al questionario. Ben il 95%
delle rimanenti (ovvero 62) ha subito
almeno un trauma cranico nel corso della vita o per essere stata colpita
con un oggetto (89%) e/o per essere stata spinta contro qualcosa (74%). Una
percentuale elevatissima, tanto più se
si tiene presente che il tasso di prevalenza del trauma cranico tra le donne degli
Stati Uniti, del
Canada, dell'Australia e della Nuova Zelanda è dell'8,6%, mentre sale al 10% tra le sopravvissute alla violenza del
partner, fino a raggiungere percentuali comprese tra il 30% e il 74% tra le
donne maltrattate che si rivolgono ad un centro antiviolenza o si recano in
ospedale.
Delle 62
partecipanti allo studio che hanno riportato un trauma cranico, 40, vale a dire
il 65%, lo ha subito nella pratica della prostituzione. Fra di esse, 39 (98%) sono state
colpite alla testa, 30 (77%) sono state
sbattute contro qualcosa. Il 46,2% è stata percossa o colpita con i pugni, il
12,8% con un bastone, il 10,3% con una
mazza, il 5,1% con una bottiglia, il 5,1% con un martello, il 5,1% con una
verga, il 5,1% con un cacciavite, il 2,6% con il calcio di una pistola, il 2,6%
con il telefono e il 2,6% con una cinghia.
Delle 30 donne che sono state spinte violentemente, invece, il 33,3% è
stata sbattuta contro un muro, il 10% contro il pavimento, il 10% contro i
mobili, il 6,7% contro cruscotti, volanti o finestrini delle auto, il 6,7%
contro un'altra persona, il 3,33% contro il lavello, il 3,33% contro un
veicolo, il 3,33% contro una porta, il 3,33% contro un gradino.
Nell'esercizio della
prostituzione le donne hanno subito ben più di un trauma cranico, avendo
riferito una media di ben 15,3 episodi di violenza di questo tipo.
L'88% delle
intervistate ha dichiarato che le lesioni riportate erano così gravi da indurle
a ricorrere a cure mediche urgenti, ma solo il 63% le ha ricevute.
Il 38% di queste donne, inoltre, ha subito traumi cranici anche durante
l'infanzia.
L'impatto di questi atti di violenza sulla salute fisica e psichica delle
vittime è molto serio, com'è facilmente intuibile.
Al momento della somministrazione del questionario, infatti, esse hanno
denunciato la persistenza di numerosissimi sintomi del trauma: vertigini
(79,5%), umore depresso (77,3%),
frequenti mal di testa (72,7%), disturbi del sonno (72,7%), difficoltà di
concentrazione (63,6%), problemi di memoria (63,6%), irritabilità (59,1%),
scarsa capacità di conservazione delle informazioni (56,8%), agitazione
(56,8%), difficoltà di controllo delle emozioni (56,8%), mutamenti della
personalità (52,3%), variazioni della libido e del livello di energia (52,3%),
bassa tolleranza alle frustrazioni (50%), fatica (47,7%), apatia (47,7%). Lamentano
poi cambiamenti nell'appetito e nel peso (47,7%), problemi di espressione delle
emozioni (45,5%), frequenti emicranie (40,9%), disturbi dell'orientamento
(40,9%), difficoltà di apprendimento di nuove nozioni (38,6%), tendenza a spaventarsi (38,6%), mutamenti del
ciclo mestruale (38,6%), difficoltà di relazione (38,6%), confusione (36,4%),
sudorazioni diurne o notturne (36,4%), incontinenza
urinaria o fecale (31,8%), difficoltà di apprendere concetti astratti (27,3%),
febbri frequenti (18,2%), convulsioni (9,1%).
Ad aggravare le condizioni di salute delle donne che si prostituiscono
interviene la comorbilità, ossia la coesistenza frequentissima in loro del
disturbo da stress post-traumatico, della dissociazione, della depressione,
dell'abuso di alcool o droghe.
Limiti
Il campione studiato - osservano le ricercatrici - è rappresentativo
delle donne che partecipano a programmi per l'abbandono della prostituzione.
Può esserlo o meno di quelle che non fruiscono di questa opportunità.
L'auspicio che esprimono è pertanto quello di svolgere indagini che includano
campioni più grandi e che analizzino anche il tempo di permanenza nella
prostituzione, i luoghi in cui è
esercitata e quelli in cui è avvenuta la violenza.
Implicazioni della ricerca
Nonostante i limiti, i risultati di questo studio - notano le autrici -
suggeriscono di effettuare uno screening per individuare nelle donne che si
prostituiscono la presenza del trauma
cranico e curarlo in tempo. Lo screening
già si effettua negli USA sui veterani di guerra in Iraq ed è raccomandato per
le donne vittime di violenza domestica.
La riabilitazione dal trauma cranico richiede almeno due anni, ma è
totalmente inefficace se le donne continuano ad essere esposte al rischio di
subire violenza, un rischio che è elevatissimo nell'esercizio della
prostituzione.
Una meta-analisi aggiornata al settembre 2013 di Deering, Amin ed altri
ha, infatti, riscontrato a livello mondiale un tasso di prevalenza della
violenza fisica e sessuale in chi si prostituisce che varia dal 45% al 75% nel
corso della vita e dal 32% al 55% nel corso dell'ultimo anno.
Per eliminare il rischio della violenza e della sua reiterazione,
bisognerebbe offrire alternative all'esercizio della prostituzione, osservano
le autrici dello studio.
Sono assolutamente d'accordo con loro.
Qui trovate la ricerca di Melissa
Farley, Martha E. Banks, Rosalie J. Ackerman e Jacqueline M. Golding:
E qui la meta - analisi di Deering, Amin et al.
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