mercoledì 25 luglio 2018

"Liberazione sessuale": il momento in cui il dominio maschile si è reinventato


In questa intervista rilasciata alla bravissima  Francine Sporenda e pubblicata sull'interessantissimo blog Révolution Féministe  , che vi invito calorosamente a seguire, il sociologo Richard Poulin illustra sinteticamente i contenuti del suo ultimo libro "Une culture d’agression. Masculinités, industries du sexe, meurtres en série et de masse" nel quale istituisce un nesso tra prostituzione, pornografia e omicidi di massa e in serie come forme di dominio e di appropriazione maschile del corpo delle donne rivelatrici della configurazione che assume nella nostra società il rapporto sociale tra i sessi ed espressione della mortifera concezione della mascolinità che la caratterizza.


 



Intervista di Francine Sporenda a Richard Poulin
Richard Poulin è professore emerito di sociologia (università di Ottawa) e professore associato all'Istituto di ricerca e di studi femministi (UQAM). E' autore di opere sulle industrie del sesso, le questioni etnico-nazionali, le violenze omicide, nonché sul socialismo e sul marxismo. Dirige "M éditeur" ed ha appena pubblicato " Une culture d’agression, masculinités, industries du sexe, meurtres en série et de masse".

F.S: Lei dice che il capitalismo ha recuperato il sesso. Nell'ambito di questa sessualità mercificata, l'ingiunzione a godere è "ormai una condizione della salute e dell'equilibrio mentale". In passato, il godimento era vietato alle donne, ora è diventato obbligatorio. Quali sono le conseguenze di questa ingiunzione per le donne ed esse hanno tratto vantaggio  da questo cambiamento?

R.P. Si è parlato di "rivoluzione sessuale" , di "liberazione sessuale", ma credo che con il contraccolpo (che si è avuto), si debba piuttosto parlare di "liberalizzazione sessuale".  Perché? La libertà sessuale (ottenuta grazie alla pillola contraccettiva) ha certo permesso la dissociazione della sessualità dalla riproduzione e permesso di levare quel peso che ha sempre gravato fortemente sulle donne: la paura della gravidanza indesiderata. Ora, ciò ha ugualmente permesso agli uomini di aver più facilmente accesso ai corpi femminili. Le giovani donne che non facevano sesso, in particolare quelle che frequentavano  i luoghi  della militanza, erano malviste, erano considerate conservatrici o reazionarie, puritane, complessate. La pressione era dunque enorme. E l'uomo che non riusciva a sedurre con facilità le donne per far sesso con loro non stava bene, si sentiva inadeguato, incapace.
Poi, molto rapidamente, si è imposto il dovere della performance, nello stesso tempo in cui si definiva il diktat della giovinezza, della snellezza anoressica, della femminilità esacerbata. La moda unisex cedeva il posto a una sessualizzazione cristallizzata degli attributi. Il dominio maschile si rinnovava, avanzando "mascherato sotto la bandiera della libertà sessuale". (Anne-Marie Sohn) E la liberalizzazione sessuale provocava un'esplosione della mercificazione del sesso.
C'è questa ingiunzione a godere per le donne e ciò diventa possibile nella misura in cui si scopre che esse hanno un presunto "punto G". Questa sedicente scoperta trova sbocco nell'ottimizzazione delle performances coitali e nell'obbligo di orgasmi multipli. Inoltre, essa  attribuisce alle donne la responsabilità per il proprio godimento e, con lo stesso movimento, deresponsabilizza (di nuovo) gli uomini. Essa apre così la via a un' "irreggimentazione sessuale" rinnovata. L'ingiunzione a godere è ormai una condizione della salute e dell'equilibrio mentale. In breve, le donne che non trovano il loro "punto G" devono sentirsi in colpa per il fatto di non riuscire ad avere un orgasmo vaginale anziché un orgasmo clitorideo. E si sa anche che, al giorno d'oggi, parecchie giovani donne trentenni e ventenni che vanno a farsi visitare dal ginecologo lamentano dolori durante i rapporti sessuali: non va come dovrebbe andare, fanno molta fatica ad accettare l'idea che debbano essere performanti: che non solo debbano far godere il partner, ma che esse stesse debbano assolutamente godere. E sembra sempre più difficile e complicato per alcune di loro essere in grado di raggiungere l'orgasmo, soprattutto se quest'ultimo deve essere imperativamente vaginale.  
Ma questa ingiunzione a godere va di pari passo con un'altra ingiunzione: quella di essere bella, di prestare attenzione al proprio corpo, di prestare ascolto al corpo altrui e al proprio, di far sì che il proprio corpo sia attraente per l'altro, di usare ogni mezzo perché lo sia. Bisogna anche guardare video porno per capire cosa piace agli uomini, essendo il loro piacere legato alla propria oggettivazione: il fatto di diventare oggetti del desiderio, è qualcosa che appare  come estremamente importante. Le riviste femminili se ne fanno interpreti in modo incredibile, le riviste per adolescenti pure. Dunque, si ha un bombardamento continuo di  queste donne e di queste giovani donne, le adolescenti, sul modo in cui  dovrebbero essere. Ciò fa sì che gli interventi di chirurgia estetica, in particolare quelli per l'inserimento degli impianti mammari, siano aumentati in misura molto significativa. Si hanno i dati per gli Stati Uniti e la Spagna, ma immagino che i dati siano simili per il Canada e la Francia. Ci dicono che  dobbiamo star bene nella nostra pelle, ma per star bene nella nostra pelle, dobbiamo trasformarla. E queste trasformazioni sono dettate dai desideri degli uomini: ad esempio, avere un seno più prosperoso. Dunque la pressione sulle donne - sul corpo delle donne e psicologica - è enorme.
C'è anche sugli uomini, ma molto meno. C'è la depilazione per gli uomini, che è in crescita, ma la depilazione quasi totale delle donne è imperativa. Avevo fatto un'indagine presso studenti e studentesse sul loro consumo di pornografia e uno studio, a completamento dell'indagine, sulle trasformazioni corporee. C'era una correlazione molto forte tra l'età di inizio del consumo di pornografia e le trasformazioni corporee. Trasformazioni che potevano essere temporanee, come la depilazione, ma che potevano anche essere permanenti, come il tatuaggio. Ci si è resi conto che, più le adolescenti iniziavano presto a consumare pornografia, più la depilazione era la norma, più avevano tatuaggi, più avevano piercings ecc. Quindi, l'immagine del corpo femminile pornificato diventava un modello di femminilità.

F.S: Dunque, in definitiva, la sessualità, in un modo o nell'altro, rimane sempre uno strumento fondamentale di controllo delle donne?

R.P. Sì, e quando parlo di mercificazione del sesso, non  mi riferisco solo al fatto che le industrie del sesso mercificano il corpo delle donne (e delle bambine), ma anche all'idea che, per star bene nella propria pelle, bisogna adottare norme che sono quelle dell'industria pornografica. La depilazione dei peli pubici deriva da quella che è stata chiamata "la guerra al pelo" che si è svolta su Playboy, Penthouse e su altre riviste di questo tipo. All'inizio degli anni Novanta  il pube delle donne non era depilato nelle immagini pornografiche. Questa guerra ha innescato una competizione, si è arrivati alla fine a mostrare tutto e, infine, il pelo è diventato un ostacolo che impediva di vedere gli organi sessuali. E' a partire da questo momento che si è cominciato a spuntarlo e a raderlo, poi si è andati fino alla depilazione totale. Oggi abbiamo la parte alta del corpo corretta dalla chirurgia plastica con gli impianti mammari che sono spesso enormi, quando non deformi, e la parte bassa del corpo depilata. Si tratta di un'infantilizzazione pornografica di questa parte del corpo delle donne - come se la donna messa in scena fosse di età prepubere, avesse il dovere di rimanere una ragazzina - e, per quanto concerne la parte alta del corpo - c'è, al contrario, un'amplificazione degli organi della femminilità.

F.S. Lei cita il monito della femminista Diana Russell che dichiarava nel 1974 che "se la liberazione sessuale non si accompagna a una liberazione dai ruoli sessuali tradizionali, può derivarne un'oppressione delle donne ancora più grande che in precedenza". E' quel che si è prodotto? E quale analisi politica fa lei del concetto di "liberazione sessuale"? C'è stato per le donne adeguamento agli obiettivi sessuali maschili, vale a dire maggior accesso sessuale al corpo delle donne?

R.P. Sì. Si può comunque dire  che la pillola ha svolto un ruolo [positivo], perché quando è diventata disponibile, si è detto che le donne avrebbero potuto fare l'amore con tutti gli uomini  che desideravano senza avere il timore di rimanere incinte. Quindi c'è stata una liberazione su questo piano. Ma, nello stesso tempo, emergeva l'ingiunzione in base a cui una donna doveva far l'amore con parecchi uomini.

F.S. Le donne non avevano più alcun motivo di rifiutarsi agli uomini. Ciò apriva a questi ultimi un accesso sessuale quasi illimitato?

R.P.  Sì, l'accesso degli uomini alle donne è diventato molto più grande. E gli uomini ne hanno tratto enormi vantaggi. Le donne ne hanno tratto vantaggi? Non ne sono sicuro. Non posso parlare in loro nome, ma ciò ha chiaramente permesso agli uomini di avere un accesso maggiore alle donne. Ora, questo accesso maggiore alle donne è stato accompagnato da un'esplosione della pornografia e della prostituzione. Ciò è paradossale, perché si sarebbe potuto supporre che un accesso maggiore alle donne avrebbe fatto diminuire l'industria della prostituzione. E' accaduto esattamente il contrario. Quindi, per gli uomini, l'accesso al corpo delle donne si è moltiplicato non solo nel "rimorchio",  ma anche nel sesso a pagamento. E' questo che mi fa pensare che non abbiamo assistito a una liberazione sessuale, ma a una liberalizzazione sessuale: verso gli anni Novanta ha avuto luogo un'esplosione della mercificazione e dell'oggettivazione  del corpo delle donne nel mondo.

F.S: Cosa ne pensa della tesi femminista secondo la quale la crescita della pornografia (di pari passo con il ritorno delle religioni in versione fondamentalista) costituisca una "rivalsa simbolica degli uomini a fronte dello sviluppo dell'affermazione e dell'autonomia delle donne?" E che la pornografia permetterebbe agli uomini di riguadagnare il terreno perduto in seguito ai progressi femministi?

R.P: Nelle mie ricerche sulla pornografia, negli anni '80, prima di Internet, ho intervistato uno degli editori della rivista porno canadese Rustler. Diceva che ciò che faceva vendere di più la loro rivista erano le foto di donne in ginocchio davanti ad un uomo mentre gli stavano praticando una fellatio. Per lui era il simbolo stesso del fatto che le donne erano sottomesse agli uomini e che  se gli uomini amavano queste foto  si trattava di una sorta di rivalsa contro il movimento femminista.  Era la sua spiegazione e io penso che fosse basata su un fondo di verità. La pornografia è diventata per gli uomini uno strumento simbolico per relegare le donne a una condizione inferiore. Il movimento femminista ha affermato l'autonomia e l'uguaglianza delle donne, ma la pornografia dice che questa uguaglianza è impossibile. Questa inferiorizzazione pornografica pone il problema dei rapporti uomini-donne, ma pone anche  il problema del razzismo.
Lo status degli uomini e delle donne  "nere" nella pornografia è lo status degli animali: un uomo di colore  è uno stallone. Questa animalizzazione, che è una forma di inferiorizzazione, si applica anche alle donne nella vita quotidiana. In Francia il sesso della donna si chiama "gatta". Questi paragoni con gli animali sono innumerevoli quando si tratta delle donne e degli uomini e delle donne nere, perché un animale non può essere uguale ad un uomo. Un uomo bianco ha il potere e il diritto di addestrare un animale così come ha il potere di addestrare un uomo nero. C'è tutto un immaginario maschile di inferiorizzazione e di sottomissione delle donne bianche, degli Africani e delle Africane, delle donne asiatiche ecc. E solo gli uomini bianchi sfuggono a questa animalizzazione.

F.S: Ho sentito clienti della prostituzione dichiarare che se usavano le prostitute era perché le donne erano diventate impossibili, troppo esigenti, arroganti ecc. e che, nella prostituzione, ritrovavano delle donne sottomesse, al servizio degli uomini, così come loro non avrebbero mai dovuto cessare di essere.  

R.P. Si cerca sempre di giustificare ciò che si fa in tutti i modi possibili e non è mai colpa di noi uomini. Questo è un elemento base della tradizione giudaico-cristiana con l'espulsione dal paradiso terrestre: è colpa di Eva se siamo stati cacciati dal paradiso, Adamo è completamente innocente, lui non aveva capito cosa stesse succedendo. Per definizione, è Eva la responsabile della caduta umana. Ed è ancora così: per gli uomini sono sempre le donne ad essere responsabili delle loro azioni, mai loro stessi. Gli uomini sono infantili. Un bambino vi dirà: " Non è colpa mia, è colpa degli altri" Penso che questi uomini siano frustrati nella misura in cui non ottengono mai ciò che cercano nella prostituzione. Quindi  se non l'ottengono, è per colpa delle donne. Le ricerche sui "clienti" della prostituzione, i prostitutori, mostrano bene che questi uomini agiscono come quegli individui che vogliono assolutamente procurarsi l'ultimo modello di i-phone, anche se il loro funziona ancora molto bene. Quindi, c'è una frenesia permanente del consumo perché si è insoddisfatti del prodotto che si ha, così come si è insoddisfatti del rapporto con la donna prostituita e si pensa che la prossima volta andrà meglio. Non è mai meglio, perciò ciò  determina una fuga in avanti che si traduce in un richiamo al consumo costante.

F.S. Quali sono, secondo lei, le conseguenze della pornografia sul rapporto uomo-donna? Come può sopravvivere il concetto di amore eterosessuale, di amore "romantico", in particolare, in una società in cui la pornografia onnipresente dà un'immagine così degradata della donna (e dell'uomo)?

R.P. La pornografia non è la sola incriminata; si aggiunge ad altri fattori sociali, ma i consumatori di pornografia, i pornofili, subiscono gli effetti di questo consumo nella loro vita sessuale. Questi effetti sono stati documentati: questi uomini sviluppano disfunzioni sessuali erettili e hanno difficoltà ad eiaculare con una "donna vera". C'è anche l'incitazione alla violenza sessuale: negli Stati Uniti molte inchieste hanno mostrato che presso i giovani consumatori di porno l'idea di poter passare all'atto e stuprare è molto forte. Un'altra conseguenza del porno per i giovanissimi - perché il consumo di pornografia avviene molto presto - è l'insoddisfazione relativa al  proprio corpo. Ovviamente quando si ingaggia un attore porno è perché ha delle doti fisiche come la capacità di avere rapporti sessuali su richiesta davanti alle telecamere e un pene più grande della media. I giovani che guardano e fanno il confronto con il proprio corpo sviluppano dei complessi relativi al proprio fisico. Questo per quanto riguarda i ragazzi. Ma per le ragazze la conseguenza è  che si abituano a comportamenti degradanti. Le faccio un esempio: nelle interviste realizzate con giovani ragazze c'era una pratica che tornava molto frequentemente: era l'eiaculazione facciale. Alcune delle ragazze che ho intervistato avevano accettato di ricevere sperma sul viso per far piacere al loro ragazzo, anche se lo trovavano degradante. I ragazzi pensavano che non fosse un problema e che, anzi, fosse piuttosto eccitante. Dunque questo  induce a dei comportamenti ove la degradazione dell'altra diventa un semplice gioco sessuale normale.

F.S. La diffusione molto ampia della pornografia e la normalizzazione della prostituzione cambiano radicalmente i rapporti fra uomini e donne e l'intera società. Guardi cosa accade in Germania.

R.P. In Germania circa i due terzi degli uomini hanno pagato rapporti sessuali, in Canada l'11% circa, in Francia il 12,5% circa. E' evidente che in una società come quella tedesca l'idea che hanno gli uomini delle donne deve essere diversa da quella di una società come la mia o la sua. Ciò produce un'idea delle donne come esseri a disposizione degli uomini e si traduce con la reazione di quella ragazza di cui ho parlato che trovava che l'eiaculazione facciale, in fondo, non fosse così degradante. Ma bisogna fare una distinzione tra la pornografia e la prostituzione: la pornografia è molto più universale della prostituzione. In Germania, in Francia o in Canada la pornografia è più o meno universale e ci sono anche donne che la consumano, non più soltanto gli uomini. La pornografia ha, nell'immaginario collettivo e nei rapporti sociali fra i sessi, un'influenza maggiore della prostituzione.

F.P. Sono incline a pensare che la pornografia sia contemporaneamente un incitamento a passare alla prostituzione e un manuale di istruzioni per farlo: la pornografia è la teoria e la prostituzione la pratica, l'esecuzione delle pratiche sessuali proposte dalla pornografia

R.P. Lei ha ragione, si può anche definire la pornografia come propaganda  a favore della prostituzione.

F.P. La pornografia sarebbe performativa?

R.P. Proprio così. Prendiamo ad esempio gli attori porno. Di solito in una scena si vede il sesso dell'attore, ma mai il suo viso e il suo comportamento è quello di una macchina. Al contrario, il viso delle donne è mostrato, perché mostrare il loro "godimento" è imperativo. Del resto il porno è uno dei rari campi in cui le "attrici" guadagnano più degli "attori". Perché sono loro ad essere al centro della pornografia, non gli uomini. Infatti gli uomini si possono rimpiazzare con un vibratore, con degli animali, con qualsiasi cosa.

F.P. Nel suo libro Lei dice che la pornografia è un incitamento al passaggio all'atto. Lei cita studi statistici in merito.

R.P. Non solo al passaggio all'atto, la pornografia incita alla violenza sessuale, promuove l'oggettivazione, la mercificazione. E' per questo che parlo della pornografia come propaganda  a favore della prostituzione. E non ci sono limiti. Ho pubblicato alcune cifre in merito in un libro precedente:  Sexualisation précoce et pornographie (Paris, La Dispute, 2009). Questi dati sono frammentari, malgrado l'onnipresenza del porno nelle nostre società. Perché? Semplicemente perché ci sono pochissime ricerche universitarie sul porno, come se il soggetto fosse tabù, riguardasse la libertà di espressione e, qualsiasi irruzione in questo spazio, fosse pure per svolgere delle ricerche, fosse condannabile in quanto attaccherebbe la prima delle nostre libertà.  Ora, quando ascoltiamo le persone che lavorano nei servizi sociali,  capiamo di più sull'industria del porno. Così, alle prese con aggressori sessuali più giovani di quanto avvenisse 15 anni fa, operatori e operatrici del Centro di psicologia legale di Montréal, che prende in carico gli aggressori sessuali minorenni, istituiscono un nesso fra la sempre più giovane età degli aggressori, il consumo pornografico e la sessualizzazione pubblica.

F.P. Lei sottolinea nel suo libro che le violenze nei confronti delle donne (come  gli omicidi di massa) non sono atti impulsivi e che ridurre i motivi di questi atti a fattori puramente psicologici e individuali - un'infanzia infelice, un padre assente, la "follia" o la famosa "madre castratrice" - occulta i significati sociali di queste violenze. Quali sono i significati sociali di queste violenze?

R.P. Gli omicidi di massa (tre vittime o più) che non si producono in famiglia, quelli che si producono nelle scuole, nei luoghi pubblici, al lavoro ecc… sono omicidi unicamente maschili. Sono uomini che uccidono degli estranei o persone che non fanno parte della  cerchia degli intimi. Se si fa appello alla sola psicologia per spiegare l'atto dell'assassino, si occulta il fatto che è la mascolinità ad attivarsi e che è una mascolinità violenta. Ci sono degli omicidi di massa eseguiti dalle donne, ma ciò avviene in famiglia e si tratta generalmente della donna che uccide i suoi figli per svariate ragioni. Questo avviene attualmente meno spesso che negli anni 1930-40, quando ciò avveniva più frequentemente. Era un'epoca di grande povertà, le donne sole si separavano in tal modo dai propri figli perché la vita era troppo dura. Oggi, quando l'omicidio avviene nell'ambito della famiglia, è generalmente l'uomo che uccide la moglie e i figli o soltanto i figli. Sono sempre gli stessi i motivi che vengono indicati indicati: è in genere quando l'uomo si accorge che sua moglie vuole lasciarlo che passa all'atto (74% dei casi). E se si analizza questo atto come un "delitto passionale" o come la follia di un uomo che non accetta di essere lasciato, si tralascia l'essenziale: che sono gli uomini ad uccidere donne e bambini. Perché queste donne e questi bambini sono percepiti come loro proprietà ed essi considerano inaccettabile che gli si sottraggano i diritti che esercitano su queste persone. Questo discorso lo si sente regolarmente, ma non se ne tiene conto perché si preferisce studiare la psicologia di questi assassini, presentarli come squilibrati, si chiamano in causa concetti freudiani: si offrono come spiegazione la "madre castratrice", il "padre assente".  Ora, non tutti gli uomini che hanno un "padre assente" e una "madre castratrice" diventano assassini. Ci devono dunque essere ben altre cause. 
Mentre questi omicidi vengono spiegati  facendo ricorso alla patologia degli assassini ( "hanno perso la testa!"), io li analizzo a partire dalle caratteristiche delle vittime. Questa prospettiva radicalmente nuova negli studi universitari rivela la dinamica sessista e razzista troppo sovente ignorata di questo tipo di crimine. Quando i media trattano degli assassinii di donne, qualificano generalmente l'evento come "dramma famigliare" o come "delitto passionale"; espressioni che occultano la violenza maschile. Quando evocano il problema degli omicidi nelle scuole, i media fanno regolarmente riferimento a "giovani (n.d.t maschi e femmine) che uccidono altri giovani", mentre in realtà ad uccidere sono  giovani maschi (100%). Allora, i discorsi che inseriscono la violenza nel solo alveo della psicologia degli assassini ("nulla lasciava presagire un tale atto di follia") si disinteressano completamente dei significati sociali sessisti e razzisti di queste violenze. Tali discorsi rifiutano di nominare questa violenza, che è maschile e, di fatto, la occultano.

F.S Lei pensa, infine, che vi sia una base biologica della violenza maschile, come pensano le femministe essenzialiste?

R.P. Come sociologo, mi tirerei la zappa sui piedi, rispondendole di sì! Ciò mi toglierebbe la possibilità di esercitare il mio mestiere. Penso che si tratti piuttosto di un problema di socializzazione. Avevo un collega che aveva fatto una ricerca sul campo in Amazzonia presso i Wawana. Tutti i comportamenti che conosciamo qui, nella nostra società, non erano conosciuti là: nessuna competizione, nessuna concorrenza tra gli uomini; gli uomini se ne vanno a cacciare nella foresta la mattina e ritornano la sera dopo avervi trascorso ore. Se restano tanto tempo nella foresta  è per permettere ai cacciatori meno abili di tornare anch'essi con una preda. Non c'è concorrenza fra gli uomini, non c'è neppure la monogamia, quindi, non c'è gelosia. Non c'è la proprietà privata,  non si vuole avere ciò che ha l'altro, perché l'altro lo condivide. Dunque  si tratta di una società totalmente differente. E' quel che avviene nelle società matrilineari, in assenza di proprietà privata e ciò fa sì che i comportamenti siano diametralmente opposti a quelli che conosciamo nelle nostre società. Perciò, la spiegazione biologica non è pertinente.
Un'altra differenza interessante è che quando questo collega poneva la domanda: "Chi è più bello?" , gli uomini si rifiutavano di rispondere. Ma, finalmente, insistendo, questo collega ha ricevuto una risposta. Gli uomini hanno detto: "Siamo noi i più belli". In questa cultura gli uomini sono visti come più belli delle donne, perché in natura gli uccelli e gli animali maschi sono spesso più colorati, più ornati delle femmine ed è per questo che loro pensavano (diversamente da noi) che il "bel sesso" non erano le donne, ma gli uomini.

F.S.  Ci sono culture come quella dei Masai nelle quali sono gli uomini che si adornano, si dipingono, si mettono in mostra.

R.P: E' proprio la socializzazione  a spiegare la violenza di certe società. Non è il fatto di avere un pene a determinare il dominio sull'altro sesso.


Qui trovate la versione originale del testo https://revolutionfeministe.wordpress.com/2018/02/19/liberation-sexuelle-quand-la-domination-masculine-sest-reinventee/

 

 


lunedì 16 luglio 2018

Sbattute contro i muri



Sbattute contro muri, pavimenti, mobili, lavandini, cruscotti,
volanti e finestrini di automobili, spinte violentemente contro altre persone, fatte urtare contro veicoli, edifici, porte o scale.

Oppure tempestate di pugni o colpite alla testa con bastoni, mazze,
bottiglie, martelli, cacciaviti, pistole, telefoni, cinghie, doghe,  tubi d'acciaio.

Sono le donne in condizione di prostituzione protagoniste  di Screening for Traumatic Brain Injury in Prostituted Women, lo studio di Melissa Farley, Martha E. Banks, Rosalie J. Ackerman e Jacqueline M. Golding pubblicato sul  numero di aprile di  Dignity: A Journal on Sexual Exploitation and Violence.

Le ricercatrici hanno analizzato l'incidenza del trauma cranico provocato da atti violenti nelle donne che si prostituiscono. A tal fine, hanno somministrato un apposito questionario a 66 utenti di quattro agenzie, due di San Francisco, una di Chicago e l'altra di Toronto, che offrono supporto a chi desidera uscire dalla prostituzione.

L'età media delle partecipanti allo studio è di 36, 8 anni; la più giovane ha 16 anni e la più anziana 58. Il 65% è di discendenza africana o caraibica, il 23% di origine europea, l'8% latino americana e il 3% nativa americana. Il 67% del campione è costituito da donne  e il 33%  da donne transessuali. L'età media di accesso alla prostituzione è di 21 anni, ma il 36% ha iniziato prima di aver compiuto 18 anni : fra di loro il 25,7% di donne e addirittura il 55% di donne transessuali.

Tra le 66 partecipanti una non ha risposto al questionario. Ben il 95% delle rimanenti  (ovvero 62) ha subito almeno un trauma cranico nel corso della vita o per essere stata colpita con un oggetto (89%) e/o per essere stata spinta contro qualcosa (74%). Una percentuale elevatissima,  tanto più se si tiene presente che il tasso di prevalenza del trauma cranico tra le donne degli Stati Uniti, del  Canada, dell'Australia e della Nuova Zelanda è dell'8,6%, mentre sale al 10% tra le sopravvissute alla violenza del partner, fino a raggiungere percentuali comprese tra il 30% e il 74% tra le donne maltrattate che si rivolgono ad un centro antiviolenza o si recano in ospedale.

Delle 62 partecipanti allo studio che hanno riportato un trauma cranico, 40, vale a dire il 65%, lo ha subito nella pratica della prostituzione. Fra di esse,  39 (98%) sono state colpite alla testa, 30 (77%)  sono state sbattute contro qualcosa. Il 46,2% è stata percossa o colpita con i pugni, il 12,8%  con un bastone, il 10,3% con una mazza, il 5,1% con una bottiglia, il 5,1% con un martello, il 5,1% con una verga, il 5,1% con un cacciavite, il 2,6% con il calcio di una pistola, il 2,6% con il telefono e il 2,6% con una cinghia.

Delle 30 donne che sono state spinte violentemente, invece, il 33,3% è stata sbattuta contro un muro, il 10% contro il pavimento, il 10% contro i mobili, il 6,7% contro cruscotti, volanti o finestrini delle auto, il 6,7% contro un'altra persona, il 3,33% contro il lavello, il 3,33% contro un veicolo, il 3,33% contro una porta, il 3,33% contro un gradino.

Nell'esercizio della prostituzione le donne hanno subito ben più di un trauma cranico, avendo riferito una media di ben 15,3 episodi di violenza di questo tipo.

L'88% delle intervistate ha dichiarato che le lesioni riportate erano così gravi da indurle a ricorrere a cure mediche urgenti, ma solo il 63% le ha ricevute.

Il 38% di queste donne, inoltre, ha subito traumi cranici anche durante l'infanzia.

L'impatto di questi atti di violenza sulla salute fisica e psichica delle vittime è molto serio, com'è facilmente intuibile.

Al momento della somministrazione del questionario, infatti, esse hanno denunciato la persistenza di numerosissimi sintomi del trauma: vertigini (79,5%),  umore depresso (77,3%), frequenti mal di testa (72,7%), disturbi del sonno (72,7%), difficoltà di concentrazione (63,6%), problemi di memoria (63,6%), irritabilità (59,1%), scarsa capacità di conservazione delle informazioni (56,8%), agitazione (56,8%), difficoltà di controllo delle emozioni (56,8%), mutamenti della personalità (52,3%), variazioni della libido e del livello di energia (52,3%), bassa tolleranza alle frustrazioni (50%), fatica (47,7%), apatia (47,7%). Lamentano poi cambiamenti nell'appetito e nel peso (47,7%), problemi di espressione delle emozioni (45,5%), frequenti emicranie (40,9%), disturbi dell'orientamento (40,9%), difficoltà di apprendimento di nuove nozioni (38,6%),  tendenza a spaventarsi (38,6%), mutamenti del ciclo mestruale (38,6%), difficoltà di relazione (38,6%), confusione (36,4%), sudorazioni diurne o notturne (36,4%),  incontinenza urinaria o fecale (31,8%), difficoltà di apprendere concetti astratti (27,3%), febbri frequenti (18,2%), convulsioni (9,1%).

Ad aggravare le condizioni di salute delle donne che si prostituiscono interviene la comorbilità, ossia la coesistenza frequentissima in loro del disturbo da stress post-traumatico, della dissociazione, della depressione, dell'abuso di alcool o droghe.

Limiti

Il campione studiato - osservano le ricercatrici - è rappresentativo delle donne che partecipano a programmi per l'abbandono della prostituzione. Può esserlo o meno di quelle che non fruiscono di questa opportunità. L'auspicio che esprimono è pertanto quello di svolgere indagini che includano campioni più grandi e che analizzino anche il tempo di permanenza nella prostituzione, i luoghi in cui  è esercitata e quelli in cui è avvenuta la violenza.

Implicazioni della ricerca

Nonostante i limiti, i risultati di questo studio - notano le autrici - suggeriscono di effettuare uno screening per individuare nelle donne che si prostituiscono  la presenza del trauma cranico e  curarlo in tempo. Lo screening già si effettua negli USA sui veterani di guerra in Iraq ed è raccomandato per le  donne vittime di violenza domestica.

La riabilitazione dal trauma cranico richiede almeno due anni, ma è totalmente inefficace se le donne continuano ad essere esposte al rischio di subire violenza, un rischio che è elevatissimo nell'esercizio della prostituzione.

Una meta-analisi aggiornata al settembre 2013 di Deering, Amin ed altri ha, infatti, riscontrato a livello mondiale un tasso di prevalenza della violenza fisica e sessuale in chi si prostituisce che varia dal 45% al 75% nel corso della vita e dal 32% al 55% nel corso dell'ultimo anno.  

Per eliminare il rischio della violenza e della sua reiterazione, bisognerebbe offrire alternative all'esercizio della prostituzione, osservano le autrici dello studio.

Sono assolutamente d'accordo con loro.



Qui trovate la  ricerca di Melissa Farley, Martha E. Banks, Rosalie J. Ackerman e Jacqueline M. Golding: