martedì 31 marzo 2015

"Le donne sono cose dei clienti perché sono comprate ed usate". Quel che i clienti pensano delle donne prostituite


Libano: un'inchiesta sui "clienti" pone nuovi interrogativi

Dopo la Scozia, il Regno-Unito e l'Irlanda, anche il Libano si interroga sul profilo dei clienti della prostituzione.  Ad occuparsene è l'associazione femminista KAFA che ci descrive uomini coscienti della violenza vissuta dalle persone prostituite, pronti tuttavia a colpevolizzarle per sfuggire alle proprie responsabilità.
 
KAFA, autrice dell'inchiesta
KAFA (Basta violenza e sfruttamento!) è impegnata contro le discriminazioni e le violenze di ogni tipo commesse contro le donne e ha l'obiettivo di costruire una società libera dalle pressioni socio-economiche patriarcali. Fondata di recente (2005), KAFA ha  discusso al proprio interno il tema della prostituzione: si tratta di libertà o di violenza? Le conclusioni cui è approdata sono chiare: la prostituzione è una violenza di genere che incarna e rafforza il patriarcato, rappresenta una violenza contro le donne e una violazione dei diritti fondamentali sulla sicurezza personale e sulla dignità umana. Poiché la tratta a scopo di sfruttamento sessuale non potrebbe proliferare e continuare senza la domanda dei clienti, KAFA ha deciso di interessarsi direttamente a loro, nella ricerca intitolata Exploring the demand for prostitution pubblicata nel 2014.
Desiderando ampliare la prospettiva degli studi libanesi già effettuati, il cui ambito riguarda principalmente  l'impatto della prostituzione sulla salute, questa ricerca si occupa delle motivazioni, delle giustificazioni e delle interazioni dei clienti con le donne prostituite. Per farlo, l'équipe di KAFA è riuscita ad intervistare 55 clienti. Un numero che giudica un po' esiguo, ma che spiega con la difficoltà di far parlare i clienti che hanno paura di essere intervistati. In Libano, la prostituzione è vietata, salvo in certi quartieri dove i bordelli sono autorizzati con una licenza accordata dal Governo e le donne vengono sottoposte a controlli sanitari obbligatori. Nondimeno, poiché i risultati ottenuti non si discostano da quelli messi in evidenza da altre indagini simili compiute in altri paesi, KAFA può affermare con un certo margine di sicurezza la loro attendibilità. La differenza fra l'età minima e quella massima dei clienti (dai 18 ai 44 anni) corrisponde alla realtà. La percentuale più elevata dei clienti intervistati (51%) è rappresentata da quelli della classe di età 22-29 anni. E' interessante osservare che si tratta di uomini appartenenti a diverse classi sociali, che il 70% di loro ha  conseguito un diploma di maturità liceale o ha un titolo di studio più elevato e che più del 90% di loro ha un salario mensile di almeno 1000 euro (in Libano, il salario medio è di 766 euro al mese). Sul piano relazionale, il 67% di loro è sposato o è inserito in una seria relazione di coppia.  Ce n'è abbastanza  per  smentire ancora una volta i luoghi comuni: no, i clienti non sono né single né in condizioni di deprivazione sociale.
Nell'ambito dei grandi temi affrontati dall'inchiesta ( la consapevolezza degli uomini  sulla violenza che la prostituzione comporta, le diverse giustificazioni offerte dai clienti dei propri acquisti di rapporti sessuali,  le razionalizzazioni delle loro domande in materia di prostituzione, i possibili freni a queste domande), vi sono dati che pongono nuovi interrogativi.
 
A nessuno può piacere  la riduzione in schiavitù
L'80% dei clienti intervistati menziona il bisogno di denaro e le condizioni socio-economiche molto precarie come le cause principali che farebbero finire una donna nell'ambiente della prostituzione. "A nessuno può piacere  la riduzione in schiavitù" "Non l'ho mai chiesto loro, ma è evidente che una donna non può essere felice in queste condizioni" "Non lo fanno per piacere, ma per bisogno di denaro".
L'82% dei clienti intervistati riconosce che le prostitute sono assoggettate ad un magnaccia; d'altra parte il 73% di loro ha avuto un contatto diretto con un prosseneta al momento della transazione.
Se i clienti si dichiarano in maggioranza indifferenti al fatto che le prostitute possano essere vittime della tratta, il 61% di loro si dice pienamente consapevole della violenza presente nell'ambiente della prostituzione e delle condizioni di sfruttamento imposte alle donne, in termini molto chiari: "Le donne sono cose dei clienti perché sono comprate ed usate", "Sono vittime della schiavitù e costrette a prostituirsi", "La loro libertà è ridotta" "Non possono uscire dalla prostituzione perché il magnaccia esercita delle violenze fisiche e psicologiche su di loro" "Non possono rifiutare [il rapporto sessuale con il cliente]".
Se parecchi clienti riconoscono di aver visto segni fisici di violenza sul corpo delle donne con le quali hanno avuto rapporti sessuali, ciò non li ha indotti però a interrompere il rapporto. Il denaro rappresenta la loro giustificazione: "Ho pagato. Voglio avere un rapporto sessuale con lei" "Non me ne frega niente del fatto che sia stata picchiata" "Mi importa solo il mio piacere".
 
Una giustificazione paradossale
Tuttavia, quando si tratta di giustificare i propri atti, la visione dei clienti cambia completamente. Messo a confronto con i risultati enunciati nel paragrafo precedente, il paradosso delle risposte che citerò  solleva domande: intervistati sulla percezione che hanno delle donne che pagano, il 47% degli uomini di questa ricerca le considerano immorali e sconce e le vedono come oggetti, il 29% ritiene che la prostituzione non sia una professione diversa dalle altre, il 33% pensa che le donne la scelgano perché amano far sesso, il 25% per avidità.
Secondo lo studio, colpevolizzare in questo modo le donne prostituite  consentirebbe ai clienti di non sentirsi socialmente responsabili. I "clienti" del resto istituirebbero una differenza fra le donne prostituite e quelle che non lo sono: "Le donne prostituite lavorano per una sola ed unica cosa", "Non hanno altri obiettivi" "Non pensano ad altro. Le loro vite sono vuote" "Non hanno nulla da perdere".Per il 53% dei clienti, le giustificazioni dei propri comportamenti vanno al di là di questo: le donne prostituite servono a placare i loro istinti, desideri e bisogni sessuali, che rappresentano una necessità, come mangiare e bere. Il 78% di loro crede al mito secondo il quale la prostituzione permetterebbe di ridurre il numero degli stupri.
 
Pornografia e comodità
La ricerca pone anche in evidenza il legame diretto che sussiste fra la pornografia e il ricorso alla prostituzione: l'80% dei clienti intervistati dichiara di guardare regolarmente foto o video pornografici; la maggioranza di loro riconosce che la pornografia ha un impatto diretto  sulla loro sessualità. "E' la pornografia ad avermi spinto ad acquistare sesso" "Mia moglie non voleva fare quello che vedevo in questi film, mentre io lo volevo". La pornografia influenza le scelte: "Se mi piace una ragazza in un film, voglio comprarne una che le assomiglia". "Se mi piace una posizione, voglio provarla".
Questa nozione di volontà indipendente da quella della partner è in sintonia con il fatto che il 96% dei clienti ritiene che sia molto comodo acquistare un rapporto sessuale, perché le donne sono disponibili in qualsiasi momento   e che loro non hanno bisogno di attendere la disponibilità della partner.
Come altri studi, anche questo si conclude con la domanda: come uscirne?
Le risposte potrebbero ispirare i senatori e le senatrici francesi, ora che la proposta di legge sulla prostituzione è in corso di discussione: il 70% dei clienti afferma che il rischio di subire una sanzione penale li indurrebbe a smettere di ricorrere alla prostituzione, il 66% smetterebbe se  i loro atti fossero comunicati alla famiglia o alle mogli.
 
Per KAFA le conclusioni sono chiare. Una società che permette che le donne siano prostituite, vendute ed acquistate come oggetti, non consente di realizzare l'uguaglianza di genere. Essa non può combattere decentemente la tratta degli esseri umani a fini di sfruttamento sessuale. Prostituzione e tratta sono intimamente legate; non solo perché rispondono alla stessa domanda ed accentuano la vulnerabilità delle donne coinvolte, ma anche perché condividono lo stesso fine: lo sfruttamento sessuale delle donne.
L'associazione conclude la sua indagine esprimendo la volontà e la necessità di smuovere le acque in Libano, realizzando atti di prevenzione e innescando un mutamento della legislazione. Tra l'altro, propone di introdurre una sanzione penale per chi acquista un rapporto sessuale, avviare una campagna di prevenzione volta a responsabilizzare i clienti e a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle violenze e sui  gravi danni prodotti dall'industria sessuale e dar vita ad un programma di aiuto alle vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale.