Vi propongo la traduzione di un' interessante intervista di Sandrine Goldschmidt a Mickey Meji, sopravvissuta sudafricana alla prostituzione pubblicata sul sito Prostitution et société. Ringrazio per l'autorizzazione che mi è stata concessa di pubblicarla
Intervista di Sandrine Goldschmidt
Abbiamo creato Kwanele - un movimento di sopravvissute- oggi siamo 700. Kwanele vuol dire "basta". Basta sfruttamento, stupri, omicidi nella prostituzione
Mickey Meji ha fondato in Sudafrica il movimento di sopravvissute Kwanele. Avendo conosciuto la prostituzione per nove anni, ha la particolarità di essere stata militante della lobby del sex work prima di diventare abolizionista. Oggi lotta per far sentire la parola delle sopravvissute e i loro veri desideri per il futuro, ben diversi dalla difesa dello status di "sex workers".
L'abbiamo incontrata a Parigi, in occasione dell'evento <<Le sopravvissute prendono la parola>>.
Cosa l'ha portata a prostituirsi?
La povertà. Avevo 19 anni, cercavo un lavoro. Un pomeriggio un uomo mi ha offerto denaro per far sesso e io ho accettato. Pensavo che nessuno l'avrebbe mai saputo. Due mesi dopo non avevo ancora un lavoro e mia madre doveva restituire dei soldi: rischiavamo di perdere casa. Allora sono finita in strada per rimborsare il debito di mia madre. Ovviamente pensavo di smettere in seguito. Ci sono rimasta nove anni. Con la prostituzione ero in grado di sfamare i miei due figli e la mia famiglia. E' per questo che sono rimasta sul marciapiede così a lungo. Ma ho sempre voluto andarmene. Se nessuno mi ha costretta, è anche vero che io non ci volevo stare.
Ha subito violenza nella prostituzione?
Sono stata stuprata molte volte soprattutto dagli uomini che mi pagavano per far sesso. Non posso più piegare il mignolo della mano destra a causa di un <<cliente>> che ha tentato di uccidermi. Sono riuscita a strappargli il coltello di mano. Molti uomini, prima di allora, hanno voluto comprarmi, finendo poi per stuprarmi puntandomi una pistola alla tempia. Non ho mai avuto papponi, ma quelli di altre donne venivano a minacciarmi quando avevano la sensazione che guadagnassi più soldi delle donne che loro vendevano ai <<clienti>>.
Un giorno Lei si è iscritta a un sindacato di "sex workers" , SWEAT. Perché?
Non è stata una vera e propria scelta. SWEAT, la principale organizzazione di questo tipo in Sudafrica, mi ha contattato ripetutamente per due anni affinché mi iscrivessi. Dicevo di sì, ma non ci andavo mai. Sapevo che non volevo esercitare la prostituzione per tutta la vita. Allora perché avrei dovuto battermi per restarlo? Un giorno una donna è stata assassinata. Il sindacato si è offerto di condurre me ed altre al funerale. Ci sono andata, mi hanno parlato dei diritti delle sex workers, della depenalizzazione e mi hanno offerto un lavoro. E' così che sono diventata una responsabile del sindacato. Si trattava di una strategia per uscire dalla prostituzione: avevo un salario e un posto del quale potevo dire: <<ecco dove lavoro!>>. Mentre quando ero sul marciapiede non potevo dirlo a mia madre o ai miei bambini.
Cosa pensa del termine <<sex worker>>? Le donne nella prostituzione vi si riconoscono?
Non conoscevo questo
termine quando sono finita sul marciapiede. Me lo ha insegnato SWEAT. Per me
ero una prostituta. Anche quand'ero nel sindacato a difendere i <<diritti
dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso>>, non ho mai detto di
esserlo. Per me non si trattava di un lavoro.
Peraltro nella prostituzione si guadagnano soldi in modo molto
variabile. Se le mestruazioni durano 10 giorni, non si può lavorare per 10
giorni. Inoltre si spendono molti soldi per anestetizzarsi. Prostituzione fa
spesso rima con dipendenza e la droga costa cara. Io ho avuto la fortuna di non
drogarmi mai, ma facevo di tutto per non pensare più alla mia condizione e si
spende molto denaro per questo. E' soltanto dopo essere uscita dalla
prostituzione che ho potuto per la prima volta mettere da parte del denaro, acquistarmi il
mobilio e, oggi, un'auto. Mi sento più responsabile, più assertiva e con più
potere sulla mia vita.
Com'è che ha
lasciato SWEAT e si è unita al movimento abolizionista?
Durante i nove anni
in cui l'ho esercitata, ho discusso molto con le donne nella prostituzione di
quello che volevano realizzare in futuro. E non ne ho mai sentita una rivendicare le stesse cose di SWEAT.
Dicevano che il loro sogno era smettere e
aprire un'attività commerciale. Ho sentito molto spesso le parole
"vero lavoro" o "lavoro decente".
Le sole cose che
rivendicava SWEAT erano il diritto di vendere sesso, l'accesso ai preservativi
e alla sanità e non essere angariate dalla polizia. Naturalmente anche noi
volevamo che la polizia non ci infastidisse, ma dire che questi fossero i soli
nostri problemi è falso. I preservativi in Sudafrica si trovano gratuitamente
ad ogni angolo di strada. La ragione per la quale siamo comunque contagiate
dall'AIDS non è la mancanza di preservativi. E' il fatto che noi non abbiamo
potere nella prostituzione. Gli uomini che ci comprano hanno il potere per
esempio di imporre un rapporto senza preservativo. Perché noi siamo
vulnerabili, abbiamo bisogno di quei soldi.
Poiché mi piaceva leggere,
mi sono informata sulle opzioni legislative: proibizione, depenalizzazione,
legalizzazione e modello svedese. Poi ho fatto la lista di tutti i bisogni che avevo
ascoltato direttamente dalle persone prostituite. La legge che meglio vi
corrispondeva era la <<legge dell'uguaglianza>> (il modello
abolizionista). Essa offre alle donne vie d'uscita dalla prostituzione, le
libera dalle vessazioni della polizia e le tutela da quelle dei compratori di
sesso, sanzionandoli. Si tratta anche di una legge che favorisce l'uguaglianza
tra uomini e donne.
Nel contempo pensavo
che dovessimo organizzarci fra donne che avevano conosciuto la prostituzione
per poter far sentire la nostra voce. Con l'aiuto dell'associazione
abolizionista Embrace Dignity alla fine
del 2016 ne ho riunite 30 per la prima volta. Abbiamo parlato dei nostri
bisogni e dei nostri desideri. Ho posto loro tre domande: in primo luogo che
cosa avevano sognato di fare quando erano piccole. Nessuna ha detto che aveva sognato di fare la
<<sex worker>>. Poi che cosa aveva impedito loro di
diventare l'insegnante o l'assistente sociale che avrebbero voluto diventare.
Le loro risposte: la povertà, la violenza contro le donne, la violenza sessuale
subita nell'infanzia, la negligenza … Infine ho chiesto loro che cosa
desideravano ora per il futuro. Di nuovo le risposte erano tutto
fuorché il <<lavoro sessuale>>.
Le ho
successivamente incoraggiate a diffondere pubblicamente queste parole perché
siano intese dal governo e non sia solo la lobby [pro-prostituzione] ad essere
ascoltata. Così abbiamo creato Kwanele, un movimento di sopravvissute. Oggi
siamo 700. Kwanele vuol dire "basta". Basta sfruttamento, stupri,
omicidi nella prostituzione.
Qual è il
trattamento legale della prostituzione che vige in Sudafrica?
Le donne nella
prostituzione e i compratori di sesso sono in teoria sanzionati. Ma sia nei
bordelli che in strada gli uomini sono perseguiti molto meno delle donne.
Perché siamo in una società patriarcale che considera colpevoli le donne. La
commissione di revisione delle leggi l'anno scorso ha raccomandato il
mantenimento dello statu quo. Ma anche il modello abolizionista è presentato
come opzione possibile. Il governo procede alle consultazioni. Ma non dovrebbe
succedere nulla da qui alle elezioni fra sei mesi.
In Francia gli
avversari della legge vogliono far abrogare la penalizzazione del cliente come
anticostituzionale. Qual è la sua reazione?
In base alla Costituzione, nessuno può avere il
diritto di comprare un'altra persona. La legge internazionale in materia di diritti umani
afferma che la prostituzione è una forma di violenza contro le donne. Non vedo come potrebbe essere
incostituzionale sanzionare un atto che è stato dichiarato sfruttamento in sé. In
Sudafrica ci sono dei diritti costituzionalmente inalienabili, fra cui il
diritto alla dignità e il diritto alla vita. La prostituzione è in contrasto
con il diritto alla dignità in modo
diretto. Ma minaccia anche il diritto
alla vita poiché riduce la speranza di vita ed accresce l'esposizione alla
violenza che va fino all'assassinio. Costituzionalmente il diritto di scegliere
la propria attività deve essere limitato dai diritti alla dignità e alla
vita.
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