I
maldestri tentativi di ridurre lo stigma attraverso la legalizzazione fanno sì che
i governi avvantaggino finanziariamente la tratta a scapito delle persone che
si prostituiscono.
La mia amica Rachel Moran
descrive nel suo libro, Paid For, come
sia stata affidata alla custodia dello Stato all'età di 14 anni e come, nel
giro di un anno, si sia trovata senza casa, affamata e vulnerabile. La mancanza
di scelte l'ha spinta in braccio alla prostituzione. Nei sette successivi anni,
è stata stuprata più volte dai clienti e ha subito una terribile violenza.
Per Rachel e per innumerevoli
sopravvissute di tutto il mondo, lo stigma sociale è un problema che hanno
affrontato fin troppo spesso. Esso deriva dal fatto che la società disumanizza
le persone nella prostituzione, trattandole, quando va bene, come cittadine di
serie B. Lo stigma impedisce alle persone prostituite di accedere ad
un'adeguata assistenza sanitaria e le espone ad un maggiore rischio di violenza
da parte di aggressori che spesso rimangono impuniti.
Per alcuni, la soluzione è
semplice: legalizza l'industria del sesso e lo stigma sparirà. Ma sta
aumentando il numero di esperti, di rapporti governativi e di pubblicazioni
accademiche che confermano ciò che le sopravvissute dicono da tempo: la
legalizzazione o la depenalizzazione dell'industria del sesso non riduce lo
stigma, non elimina la violenza e non riesce ad aumentare la sicurezza delle
persone nella prostituzione.
Nel tentativo di "porre
fine allo sfruttamento delle persone a fini di prostituzione, cioè alla
tratta", i Paesi Bassi hanno introdotto nel 2000 una normativa che ha
legalizzato la prostituzione. Per 13 anni, tutti hanno osservato questo
importante esperimento volto a ridurre lo stigma e la violenza.
I Paesi Bassi sono una nota
meta del turismo sessuale e continuano a conoscere lo sfruttamento sessuale dei
bambini e la tratta degli esseri umani sia nel settore legale che in quello
illegale.
Nel tentativo di normalizzare
la prostituzione e di "portarla allo scoperto", le donne sono invitate
a registrarsi per pagare le tasse. Eppure, solo un esiguo numero di donne si è
effettivamente registrato.
Rachel Moran ne indica le
ragioni nel suo libro Paid For:
"Capisco perfettamente perché molte rifiutino di
registrarsi e lavorino illegalmente pur di evitarlo, perché se fossi stata
costretta a scegliere se lavorare
clandestinamente o essere ufficialmente etichettata come prostituta,
avrei fatto esattamente la stessa cosa. La lobby pro-prostituzione avrebbe
detto che soffrivo degli effetti negativi dello stigma che circonda le puttane.
No. Gli unici effetti negativi di cui soffrivo erano quelli della
prostituzione".
Ma i Paesi Bassi non sono gli unici a riconoscere le
enormi lacune di una legislazione che era destinata a eliminare lo stigma
connesso alla prostituzione, per "portarla allo scoperto" e ridurre
lo sfruttamento. In Nuova Zelanda, dove la prostituzione e le attività ad essa
connesse sono state depenalizzate nel 2003, il Primo Ministro John Key ha detto che ciò non ha comportato una significativa riduzione della prostituzione di strada e di quella minorile.
In un rapporto del governo,
le donne che si prostituiscono sostengono che la legalizzazione della
prostituzione non ha ridotto la violenza nell'industria del sesso e che " sono
comuni abusi e molestie commesse da ubriachi nei confronti delle sex workers
che esercitano in strada ". Nel
frattempo, un fornitore di servizi a Victoria, in Australia, dove la
prostituzione è stata legalizzata nel 1980, dice: " Le donne ci dicono
continuamente che lo status di prostitute viene usato contro di loro". La
Germania è l'ultimo Paese che nei media nazionali discute apertamente del
fallimento della legalizzazione.
Né la legalizzazione né la
depenalizzazione pongono rimedio alla diseguaglianza di genere che si verifica
quando un cliente acquista il corpo di una donna o di una ragazza. Stella Marr,
una sopravvissuta della prostituzione e fondatrice della Sex Trafficking Survivors United, sottolinea come lo stigma nasca
dalla domanda "da parte dei clienti
di usare il loro potere politico e finanziario per comprare le [donne] più
giovani, più povere, più svantaggiate e vulnerabili. Il segreto richiesto da
questi compratori per occultare il danno che causano crea una forma
particolarmente devastante di stigma: un soffocante silenzio imposto dalla
paura e dalla vergogna".
Quando i governi non riescono
ad affrontare la questione della domanda nel mercato del sesso, non solo non riescono a
tutelare le persone che si prostituiscono, ma traggono anche profitto dalla prostituzione attraverso la crescita del
gettito fiscale generata dallo sfruttamento.
Ma essi non sono i soli a
beneficiarne. Legalizzando il mercato
del sesso, trafficanti, papponi, proprietari di bordelli e acquirenti di sesso beneficiano
di questo miliardario business.
Nel tentativo di dare
priorità ai diritti umani e alla sicurezza delle persone che si prostituiscono, Svezia, Norvegia e
Islanda hanno adottato il modello nordico, che criminalizza l'acquisto di
sesso, ne depenalizza la vendita e offre
strategie di uscita alle persone che vengono acquistate.
In occasione del lancio della
Piattaforma della Società Civile dell'UE contro la tratta di esseri umani a
Bruxelles nel mese di maggio del 2013, la coordinatrice anti-tratta dell'UE,
Marya Vassiladou, ha sottolineato che "gli Stati membri della UE sono
legalmente obbligati ad adottare misure che affrontino la domanda che alimenta
la tratta".
Dopo essere coraggiosamente
uscita dal mercato del sesso, Rachel Moran spiega che cosa vi sia di
radicalmente sbagliato nei tentativi dei governi di legalizzare la
prostituzione anziché concentrarsi sulla domanda: "Essere prostituita è piuttosto umiliante; legalizzare la
prostituzione significa perdonare questa umiliazione e assolvere chi la
infligge. E' un angoscioso insulto".
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